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Scoperto l'interruttore della plasticità cerebrale

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Gli scienziati hanno identificato un nuovo recettore della proteina NoGo-A, regolatore della plasticità del sistema nervoso centrale, cioè la capacità del cervello di adattarsi e ripararsi in seguito a un danno nervoso

Una scoperta straordinaria. Gli scienziati hanno identificato un nuovo recettore della proteina NoGo-A, regolatore della plasticità del sistema nervoso centrale, cioè la capacità del cervello di adattarsi e ripararsi in seguito a un danno nervoso.

La rivista "Developmental Cell" ha pubblicato lo studio coordinata dall'èquipe di Martin Schwab del Brain Research Institute - Università di Zurigo in collaborazione con il gruppo di ricerca della professoressa Annalisa Buffo del NICO - Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi e il Dipartimento di Neuroscienze dell'università di Torino.

Cosa è la "NoGo-A"? Come scrive l'Adnkronos Salute, "inizialmente si pensava fosse una parte costituente della mielina, opera, spiegano i ricercatori, nel cervello sano bilanciando la formazione di nuovi contatti, la crescita di nuovi prolungamenti nervosi e la produzione di nuovi neuroni dalle cellule staminali, in modo da favorire l'adattamento del cervello a nuove esperienze e la formazione di nuove memorie. La stessa proteina - che con i suoi segnali garantisce stabilità alla struttura del sistema nervoso - è tuttavia anche un potentissimo inibitore della riparazione dei circuiti interrotti dopo un danno e un regolatore dell'attività delle cellule staminali cerebrali".

"Tuttavia, - spiegano invece i ricercatori - da molto tempo risulta chiaro che la 'coda' di questa molecola eserciti delle azioni specifiche non attribuibili ai NgR". La nuova scoperta ha permesso però di "identificare negli zuccheri di membrana Eparan Solfato Proteoglicani recettori specifici per la 'codà di NoGo-A". "Il risultato di questo lavoro - sottolinea Annalisa Buffo del NICO - offre nuovi spunti per la comprensione delle basi molecolari della plasticità nervosa e dei meccanismi che possono stimolare la riparazione del cervello danneggiato. Dimostra inoltre come la ricerca di base, e lo studio dei complessi meccanismi che regolano il funzionamento del cervello, richieda tempi lunghi e di conseguenza importanti investimenti, purtroppo carenti fino a oggi nel nostro Paese".


I funghi magici che risvegliano dalla depressione

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Sintomi della depressione ridotti alcune settimane dopo l'inizio di un nuovo trattamento, grazie a una sorta di reset dell'attività cerebrale

Non un nuovo farmaco, ma dei funghi allucinogeni. I sintomi della depressione si sono ridotti alcune settimane dopo l'inizio di un nuovo trattamento, grazie a una sorta di reset dell'attività cerebrale. I risultati sono stati ottenuti grazie a un principio attivo dei funghi allucinogeni, lapsilocibina.

I dati provengono da uno studio, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, in cui i ricercatori hanno usato il composto psicoattivo che si trova naturalmente nei funghi "magici" per curare dei pazienti affetti da depressione, i quali non riuscivano a curare in modo tradizionale il disturbo. I benefici, riferiti dai 20 pazienti a cui sono state somministrate due dosi di psilocibina (10 mg e 25 mg), nell'arco temporale di due settimane, sono stati tempestivi.

Si tratta di miglioramenti della sindrome depressiva fino a cinque settimane dall'inizio del trattamento con il "farmaco". Pare che il composto psichedelico possa effettivamente reimpostare l'attività dei circuiti chiave del cervello che svolgono un ruolo importante nella depressione.

A confermarlo è stato il confronto tra le immagini da risonanza magnetica dei cervelli dei pazienti prima, e un giorno dopo l'inizio della cura: ha rivelato cambiamenti nell'attività cerebrale che sono stati associati a riduzioni significative e durature dei sintomi depressivi.

Robin Carhart-Harris, responsabile della ricerca dice che lo studio "ha mostrato per la prima volta chiari cambiamenti nell'attività cerebrale in persone depresse trattate con psilocibina. Alcuni dei nostri pazienti hanno descritto la sensazione di essersi resettati dopo il trattamento e spesso usavano questa analogia con il linguaggio dei computer perché quello che provavano è che il loro cervello fosse stato deframmentato e riavviato", pronto a nuova vita.

A Palermo il primo caso al mondo: tumore asportato senza il bisturi

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L'operazione all'Ismett di Palermo avvenuta utilizzando la tecnica endoscopica. Gli esperti: "Una innovazione"

Una nuovo primato italiano. Questa volta nella medicina, all'Ismett di Palermo. Dove per la prima volta al mondo è stato asportato un tumore sottomucoso allo stomaco senza usare il bisturi.

L'intervento è avvenuto utilizzando la tecnica endoscopica, quindi senza dover incidere tagli al paziente di 51 anni. La svolta è epocale, visto che ogni anni si verificano solo in Italia dai 600 ai 900 casi di tumore simile che potrebbero essere operati in totale facilità. Il tutto è stato possibile grazie ad un innovativo sistema che ricuce il foro realizzato durante l'intervento. La donna è stata sottoposta ad una vera e propria gastrectomia cuneiforme, ovvero un'asportazione di un tratto di tessuto dello stomaco a forma di cuneo.

L'intervento si è sviluppato in due fasi. Nella prima fase, quella resettiva, è stata portata avanti con un elettrobisturi endoscopico miniaturizzato che ha consentito la rimozione della neoformazione e della parete gastrica adiacente. La seconda fase invece, quella di chiusura della parete gastrica, "è la più innovativa" ed è stata realizzata grazie ad uno strumento di sutura endoscopica di nuova generazione che ha permesso di richiudere la parete gastrica "senza necessità di fastidiosi tagli nella parete addominale e dolorosi tubi di drenaggio".

A spiegarlo all'Adnkronos sono stati i dottori Antonino Granata e Mario Traina. La paziente è stata in grado di muoversi subito dopo il risveglio dall'anestesia, di rialimentarsi già dopo 48 ore e ha potuto lasciare l'ospedale solo dopo tre giorni dall'intervento. "Fino ad oggi questo tipo d'intervento è stato sempre eseguito solo per via chirurgica - spiegano all'Huffington gli esperti -. La letteratura scientifica riporta pochi tentativi di approccio endoscopico, solo in Cina alcuni interventi analoghi sono stati portati a termine ma con tecniche di sutura obsolete".

«È come l'omeopatia L'importante è che ci crediamo»

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I misteri della «medicina immaginaria» che cura quanto un farmaco reale continuano a stupire il mondo della scienza. E ogni esperimento conferma la miriade di declinazioni dell'effetto placebo. Uno dei poli più attivi nella ricerca è il dipartimento di neuroscienza «Rita Levi Montalcini» dell'università di Torino, dove lavora Fabrizio Benedetti, il massimo esperto al mondo sull'argomento.

Professor Benedetti, si dice che il placebo faccia effetto anche se il paziente sa di assumere acqua e zucchero. Come è possibile?

«Esiste una componente dell'effetto placebo del tutto inconscia. In altre parole, anche se si sa che non è un farmaco, l'effetto terapeutico è presente. È un po' come quando si guarda un film dell'orrore. Si sa che è tutto finto, eppure si ha paura. Così per il placebo. Si sa che è tutto finto, eppure si sta meglio».

Una recente ricerca dimostra faccia bene anche contro le delusioni d'amore.

«Non c'è da meravigliarsi, visto che il mal d'amore produce sintomi simili a quelli di una malattia (depressione, inappetenza, pianto) e questi sintomi sono sensibili a un trattamento placebo».

Lei considera l'omeopatia effetto placebo?

«Sì, non esiste alcuno studio condotto con rigore scientifico ineccepibile che dimostri che l'omeopatia sia meglio di un placebo».

Potenzialmente in che percentuale in nostro cervello può curarci da certi mali?

«Può farlo in tutte le condizioni dove la componente psicologica sia importante. Ad esempio sono sensibili al placebo il dolore, l'ansia, la depressione, la performance motoria».

Performance motoria? Cioè il placebo aumenta le prestazioni sportive?

«Gli sportivi a cui abbiamo somministrato un placebo, dicendo invece che era un dopante, hanno migliorato la propria performance».

E com'è possibile che funzioni anche il sala operatoria?

« È stato dimostrato che in alcuni casi non era l'intervento in sé a migliorare la circolazione cardiaca, ma la fiducia che il paziente vi riponeva. Oggi la chirurgia placebo coinvolge molti ambiti, ma ha un occhio di riguardo per la neurochirurgia, in particolare per la stimolazione cerebrale profonda e l'impianto di cellule per il trattamento della malattia di Parkinson».

Le applicazioni cliniche sembrano infinite.

«I nostri studi puntano proprio a sviluppare nuovi protocolli terapeutici e alternative all'uso di farmaci tossici. Potremmo arrivare anche a ridurre molto l'uso della morfina come antidolorifico».

MaS

BASTA UN POCO DI ZUCCHERO... Il placebo che cura insonnia e mal d'amore

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Maria Sorbi

Altro che farmaci, calmanti e terapie. A volte basta un po' di zucchero per sentirsi meglio. E non è una semplice consolazione in stile Mary Poppins. È l'effetto placebo, la «medicina che non c'è» ma che ha poteri curativi straordinari. A quanto pare è in grado di alleviare anche stess e mal d'amore, come se fosse una bugia a fin di bene. A dimostrarlo sono i ricercatori della University of Colorado di Boulder, che hanno applicato il metodo della cura «immaginaria» anche alla sfera dei sentimenti. Gli scienziati hanno somministrato a 40 volontari, reduci da una relazione finita da poco, del semplice spray nasale ma ad alcuni lo hanno presentato come «un potente analgesico in grado di ridurre il dolore emotivo». Ebbene, gli effetti ci sono stati eccome. Non solo nella percezione dei volontari, che hanno riferito di sentire il cuore più leggero, ma anche nelle risonanze magnetiche per immagini fatte al cervello per analizzare le reazioni. «Le aspettative positive possono influenzare l'attività della corteccia prefrontale, che di conseguenza influenza i sistemi cerebrali per produrre sostante oppioidi o risposte alla dopamina, sostanza associata alla sensazione di ricompensa e nella regolazione dell'umore» scrivono gli scienziati nella loro relazione.

BASTA CREDERCI

Ma gli effetti del placebo non finiscono qui. Uno studio dell'università di Harvard negli Stati Uniti e dell'università di Basilea in Svizzera ha dimostrato che «le pillole di zucchero» fanno effetto anche quando il paziente sa che si tratta di un farmaco fittizio. E questo ribalta totalmente ciò che si è sempre creduto sul placebo, catalogandolo come una sorta di tacito inganno. C'è un'unica condizione: al paziente bisogna raccontare che quella pastiglia, seppur priva di principi attivi, ha effetto grazie alla suggestione e che quindi porterà comunque dei benefici. E funziona. La nostra mente «ci casca» anche quando il trucco è conclamato.

«Il placebo - spiega Enrico Zanalda, segretario della società italiana degli psichiatri - di fatto allena il nostro cervello e attiva un reale meccanismo curativo nel nostro organismo. Tuttavia per il paziente è fondamentale la presenza di un'équipe medica che lo affianchi e lo supporti. Il solo fatto di sapere che qualcuno si sta prendendo cura di lui, aiuta a ottenere effetti positivi. Ovviamente, in campo psichiatrico, non parlo delle patologie più gravi ma dei casi di ansia o delle depressioni lievi». Tutto ciò che ha a che fare con la psicoterapia trova un grande supporto nell'effetto placebo che arriva a rappresentare il 30% degli effetti positivi.

LA FORZA DELL'AUTOCURA

Il placebo può avere effetti significativi sui dolori fisici, compresi quelli cronici, la sindrome dell'intestino irritabile, l'emicrania episodica e la rinite. Aiuta la concentrazione, consolida i ricordi, mantiene giovani e aiuta a combattere i chili di troppo. Non solo, simula alla perfezione un sonnifero escludendone gli effetti collaterali. Di fatto, credere di aver dormito bene fa sentire come se ci si fosse appena svegliati da un sonno ininterrotto di otto ore. La dimostrazione arriva da uno studio condotto da due psicologhe del Colorado College e pubblicata sul Journal of Experimental Psychology. A un gruppo di studenti le ricercatrici hanno detto di poter misurare la fase Rem del sonno, cioè quella più profonda, cosa in realtà impossibile da fare. I ragazzi a cui è stato riferito che la fase Rem fosse durata a lungo si sono sentiti più riposati, quelli a cui è stato fatto credere fosse durata poco hanno cominciato a sbadigliare. Una suggestione banale ma fondamentale per vari motivi: innanzitutto perché potrebbe aiutare a studiare un'alternativa ai farmaci e ai principi attivi a base chimica. E poi perché sapere di aver dormito ci può inconsciamente stimolare a migliorare le performance della giornata: l'atteggiamento mentale può influenzare gli stati cognitivi in senso sia positivo sia negativo.

Il decalogo dei poteri del placebo sembra infinito. Al dipartimento di neuroscienze «Rita Levi Montalcini» dell'università di Torino, è stato messo a punto un esperimento su alcuni sportivi. È bastato far credere ad alcuni di loro che l'acqua che stavano bevendo fosse una sostanza dopante per renderli più forti e veder migliorare le loro performance sportive. Paradossalmente è come se in laboratorio fosse stato realizzato un «doping da suggestione». Altro discorso è valutare se è etico e legale utilizzare il metodo dell'inganno pre gara per far sentire l'atleta imbattibile.

ADDIO MORFINA

Numerosi esperimenti hanno dimostrato che il placebo fa da supplente anche alla morfina. E questo significa che potrebbe diventare una valida alternativa ai farmaci tossici nelle terapie antidolorifiche e palliative. Una bella sfida per le case farmaceutiche, ipoteticamente chiamate a lanciare sul mercato farmaci a minor contenuto di morfina. E una nuova frontiera le cure nei reparti e negli hospice, dove potrebbero essere approvati nuovi protocolli terapeutici.

Nuova terapia genica: trasforma i linfociti in killer del cancro

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Negli Usa autorizzato una nuova classe di terapia genica. Trasforma le cellule del sistema immunitario del paziente in spietati killer del cancro

Dagli Stati Uniti arriva una grande rivoluzione che può realmente contribuire a sconfiggere il tumore. La Food and Drug Administration ha, infatti, autorizzato una nuova classe di terapia genetica per trasformare le cellule del sistema immunitario (linfociti) del paziente in spietati killer del cancro. La terapia, chiamata "Yescarta" e prodotta dalla Kite Pharma, è stata autorizzata per gli adulti affetti da neoplasie maligne del tessuto linfatico (il linfoma non-Hodgkin) che sono già stati sottoposti ad almeno due trattamenti chemioterapici senza alcun beneficio.

"Il trattamento genetico - spiegano i ricercatori - trasforma le cellule del paziente in un 'farmaco vivente' che attacca le cellule cancerogene". Si tratta di un nuovo sviluppo della promettente ricerca nel settore dell'immunoterapia che usa farmaci o modifiche genetiche per "inserire il turbo nel sistema immunitario". Solo negli Stati Uniti, secondo il New York Times, almeno 3.500 pazienti potrebbero essere trattati con la nuova terapia genica che ha un costo di 373mila dollari. Terapia che va studiata e calibrata per ogni singolo paziente, avendo tutti un sistema immunitario diverso.

La cura era stata inizialmente studiata dal National Cancer Institute che nel 2012 ha fatto un accordo con la Kite Pharma. Il colosso farmaceutico ha così fornito i fondi per trasformare la teoria in realtà ed ottenerne poi i diritti di sfruttamento. Proprio grazie alle indiscrezioni sulla nuova terapia, che si trovava in attesa del via libera della Food and Drug Administration, la Kite Pharma è stata acquistata dalla Gilead per 11,9 milairdi di dollari. Lo Yescarta è il secondo trattamento genico autorizzato dall'ente americano. Il primo, il Kymriah della Novartis, è stato approvato lo scorso agosto e riguarda i bambini e i giovani con forme aggressive di leucemia. Un ciclo di Kymriah costa 475mila dollari ma Novartis ha promesso che sarà gratis per quei pazienti che non mostreranno miglioramenti entro un mese.

Come perdere 3 chili (e mezzo) in 3 giorni

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... e anche sei centimetri al giro vita con il programma «Naturalmente Detox» a Stresa

La visita medica con cui inizia il programma Naturalmente Detox al Grand Hotel et des Iles Borromées di Stresa è piuttosto sconvolgente. Vieni pesato e misurato come se dovessi arruolarti nei Marines, poi ti vengono scrutate le iridi come se lì in fondo fossero nascosti chissà quali segreti, quindi la dottoressa ti appoggia tre dita della mano prima su un polso, poi sull'altro e infine sulle caviglie. La palpazione dura un bel po', nel silenzio più assoluto e quando ti chiede di sdraiarti a pancia in giù per applicarti delle coppette fumanti sulla schiena, non puoi fare a meno di pensare all'episodio di Caro Diario in cui Nanni Moretti viene visitato da medici d'ogni tipo compresi quelli specializzati in agopuntura e medicina cinese. Nel film nessuno riesce a fare la diagnosi giusta mentre nella realtà Rosalba Marù ideatrice del programma e direttore sanitario del centro benessere dell'hotel, azzecca perfino quanti chili e centimetri perderai in tre giorni. Questa bellissima donna di origini colombiane ha una serie impressionante di titoli e specializzazioni. Si laurea in medicina e chirurgia all'università di Torino e ottiene un diploma post universitario in medicina estetica. Studia termalismo, talassoterapia e nutrizione. Frequenta un master in medicina biologica al centro didattico post laurea dell'associazione italiana di omotossicologia. Quindi si diploma in agopuntura a Milano e consegue un master di agopuntura e moxibustione in Cina. «Ultimamente sto interessandomi alla medicina ildegardiana» annuncia mentre la tua schiena per effetto della coppettazione sembra un tappetino da doccia con grossi bolli di gomma rossi e viola. Passa in un baleno come la cervicale che combatti inutilmente da una vita e le mille contratture alle spalle. Ildegarda di Bingen è stata una grande mistica tedesca nata ai tempi delle crociate e ordinata dottore della Chiesa solo nel 2012. Musicista, scrittrice, poetessa, filosofa, inventrice di una lingua artificiale, naturopata e guaritrice, la Santa ha scritto svariati libri, due dei quali su diagnosi dei più diversi malanni e relativi rimedi naturali. Tra questi c'è una zuppa altamente disintossicante che ti viene servita a pranzo e cena per tre giorni insieme con verdure bollite senza sale. Una centrifuga per colazione, un cucchiaino di miele per merenda ed ettolitri di tisana completano il menù quotidiano. La noia regna sovrana, ma per motivi inspiegabili non soffri la fame. Soprattutto hai l'energia di un leopardo che ti permette di affrontare una marea di appuntamenti. Il programma prevede due trattamenti corpo oltre a un lungo e bellissimo massaggio Tui Na. Poi c'è una seduta di Biolifting e Tui Na al viso, un'altra seduta di coppettazione, tre controlli bioenergetici e due lezioni di yoga e meditazione. Al terzo giorno ti ritrovi più leggero di 3,5 chili e con sei centimetri in meno all'altezza dell'ombelico. Non si riprendono subito, anzi: con questo programma si ha una rigenerazione totale anche a livello metabolico. Certo non bisogna ributtasi sul cibo come se fosse l'unica cosa da fare e tantomeno bere come Hemingway che tra l'altro è stato uno degli innumerevoli ospiti Vip di questo storico albergo fondato nel 1861, quando viene proclamato il regno d'Italia. Però funziona, provare per credere.

Speciale: 

Ecco tutti i cibi killer invisibili ​che finiscono sulla tavola

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La Coldiretti pubblica la black list dei cibi (provenienti dall'estero) più pericolosi per la salute. Oltre al tonno spagnolo, molti vengono dalla Turchia

Esiste una classifica dei cibi più pericolosi che quotidianamente arrivano sulle nostre tavole. Potremmo chiamarli i "cibi killer", quelli che diamo per certi essere buoni, sani e sicuri e invece spesso contengono delle sostanze che ci fanno male. Molto male.

A stilare l'elenco è stata la Coldiretti, che ieri al Forum Internazionale dell'Agricoltura e dell'Alimentazione di Cernobbio ha reso noto lo studio realizzato dai suoi uffici partendo dall'ultimo rapporto europeo che registra i rischi alimentari dovuti a residui chimici, metalli pesanti, diossine, altri inquintanti, coloranti, microtossine e via dicendo. I dati risalgono al 2016 e fanno impressione. Avete presente il pesce spada? Oppure le noccioline che vengono dalla Cina? O ancora gli integratori e il tonno spagnolo? Beh: sono solo alcuni dei cibi che hanno più probabilità di altri di risultare inquinati. E dunque dannosi.

Ma veniamo alla classifica. Ai primi tre posti ci sono il pesce spada e il tonno dalla Spagna sono spesso inquinati da metalli pesanti, gli integratori e i cibi dietetici con ingredienti non autorizzati dagli Stati uniti e le arachidi dalla Cina invece sono contaminate da aflatossine cancerogene. Al quarto posto invece i peperoni, sempre turchi, a causa di un elevato tasso di pesticidi. Ad Ankara finisce anche il sesto posto, con i fichi secchi considerati dannosi per la presenza di aflatossine, considerate cancerogene anche dall'Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA). Pericolo salmonella invece per il pollo polacco, che finisce così al settimo posto in classifica. L'ottava posizione va alle nocciole provenienti dalla Turchia e poi le arachidi degli Usa. Al decimo posto ci sono i pistacchi della Turchia, pericolosi per la presenza di aflatossine oltre i limiti di legge. A seguire altri prodotti - spiega la Coldiretti - sono stati tra quelli più segnalati, come per le albicocche essiccate dalla Turchia per contenuto eccessivo di solfiti, la noce moscata dall'Indonesia, per aflatossine e le carni di pollo dai Paesi bassi, per contaminazioni microbiologiche.


La tecnologia che aiuta a fare sempre sport

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Interessa quelle persone che potrebbero subire arresti cardiaci in caso di aritmia maligna

Riccardo Cervelli

Se i loro cardiologi sono d'accordo, molte persone che hanno determinati tipi di aritmia cardiaca possono continuare a praticare i loro sport preferiti, ovviamente con alcune precauzioni. Per buone parte di questi pazienti, ad aumentare la probabilità di non dover abbandonare l'attività sportiva agonistica o amatoriale, è la disponibilità dei defibrillatori impiantabili sottocutanei, un tipo di dispositivo che, a differenza dei defibrillatori impiantabili tradizionali, non prevede cateteri che vengono inseriti all'interno di una vena per poi posizionarsi nella cavità del cuore.

Di questa innovazione e della sua valenza al fine di sostenere l'adozione di stili di vita attivi, si è parlato in una sessione del Congresso di Cardiologia dello Sport. Un evento promosso a Roma dal professor Antonio Pelliccia, presidente dell'Associazione di Cardiologia dello Sport dell'Istituto di Medicina e Scienza dello sport del Coni, nella splendida cornice del Centro di Preparazione Olimpica Acqua Acetosa «Giulio Onesti».

Ogni anno in Italia circa 50.000 persone (oltre 350.000 in Europa) vengono colpite da «arresto cardiaco improvviso», un'aritmia maligna che può avere un esito letale se non si interviene in modo tempestivo con un defibrillatore. Come dimostrano periodicamente notizie di cronaca, i casi di morte improvvisa non sono infrequenti durante lo svolgimento di attività sportive.

Chi è a rischio di incorrere in questi eventi? Alcune sono persone cui è stata già diagnosticata una patologia cardiaca, ma è stato sottostimato il rischio di un'aritmia maligna nell'ambito di un'attività sportiva. Altri, purtroppo, sono sportivi nei quali non sono state ancora riscontrate cardiomiopatie. Per prevenire incidenti che interessano questa seconda categoria di persone è necessaria, prima di tutto, la sensibilizzazione verso l'importanza di sottoporsi ad accurate visite medico-sportive. Per scongiurare il più possibile eventi fatali nella prima tipologia di pazienti - cui oggi molto spesso viene vietata l'attività sportiva - può essere valutata la possibilità di utilizzare i defibrillatori sottocutanei. Recentemente, la multinazionale biomedicale Boston Scientific, tra i leader mondiali nello sviluppo e nella produzione di dispositivi impiantabili mini-invasivi che migliorano la qualità della vita delle persone, ha introdotto sul mercato sanitario la terza generazione di questi device (S-ICD) il cui principale vantaggio, spiegano dall'azienda guidata in Italia dall'ad Raffaele Stefanelli, «risiede principalmente nell'assenza di rischi connessi all'inserimento di cateteri transvenosi nel cuore».

Un vantaggio non da poco, e cui la cardiologia dello sport guarda con favore, anche se è bene tenere conto della tipologia di pratica sportiva, evitando quelle che prevedono movimenti intensi e contatti fisici.

Con l'«Health Coach» lo stare bene diventa una regola

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Michele Vanossi

L'health coach o wellness coach è quella persona di supporto e sostegno con competenze specifiche, nel settore dello stare bene e magari anche della riabilitazione motoria, che lavora presso centri benessere o Spa (di solito è un professionista qualificato in discipline olistiche che non esclude un approccio di tipo scientifico e, quindi, anche la medicina tradizionale occidentale). Mediante una serie di tecniche e di percorsi di sviluppo che agiscono sull'aspetto fisico, comportamentale, emotivo e spirituale, il trainer contribuisce a farci ritrovare energie, pace e benessere.

Tali figure si stanno diffondendo 00un po' ovunque; un pioniere in questo campo è indubbiamente il croato Tomislav Dasovich (www.fusionspa.eu) che afferma: «Attraverso terapie personalizzate che spaziano dall'agopuntura ai massaggi ayurvedici o thailandesi (svolti da maestri terapeuti indiani e thailandesi), dalle sedute di fisioterapia o di massoterapia, oppure seguendo programmi detox, si possono ottenere risultati concreti in tempi brevi; anche il concetto di Spa sta diventando sempre più healthy». Ma quali sono i trattamenti preferiti? Di certo quelli alle alghe e agli oligoelementi, oppure il massaggio «Manager De Stress» per il recupero immediato, potenziato dalla forza del magnesio marino che drena, risveglia il corpo e rilassa la mente, purifica i tessuti, favorisce l'assorbimento del calcio dalle ossa e regola i ritmi del sonno. Per un discorso più estetico, tra i trattamenti più gettonati da entrambi i sessi ecco l'idratazione profonda effettuata con un macchinario denominato Hydratal Face.

Affrontare la menopausa con le terapie adeguate

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La somministrazione di estrogeni e altri ormoni va controllata. Il dosaggio è sempre da verificare

Viviana Persiani

La menopausa è un periodo davvero critico per la donna. Le ovaie si «disattivano» e non producendo più estrogeni e progestinici danno il via a una serie di problematiche: dall'insonnia alla fragilità ossea, dal calo della libido all'aumento di peso, fino, in alcuni casi, al cancro. Disturbi fisici, ma anche psicologici, che minano la qualità della vita delle signore. È forse strano dirlo, ma tra i 45-50 anni, per qualcuno anche prima, inizia una sorta, se non di declino, di forzato adeguamento del proprio modo di vivere. Ibsa Foundation for scientific research di Lugano ha organizzato, a Zurigo, un opportuno Forum Scientifico al quale hanno partecipato vari esperti confrontandosi attorno al tema Female Healthy Aging, ovvero l'invecchiamento in salute delle donne, perché essendo davvero tante e spesso contrastanti le linee di pensiero, in merito alla menopausa, dei ginecologi, è valsa la pena fare chiarezza.

Se le nostre nonne hanno convissuto con questi problemi, facendosene una ragione, oggi, soprattutto in funzione della prospettiva di vita migliorate, la medicina e la scienza offrono delle soluzioni, almeno per attenuare la serie di fastidi e per diminuire il rischio di incorrere in patologie come quelle cardiovascolari. Più di un decennio fa, la terapia ormonale sostitutiva venne bandita, tra contrasti scientifici e prese di posizione discordanti, a seguito di uno studio realizzato nell'ambito del Women's Health Initiative Trial americano, che sembrava dimostrare un aumento significativo dei tumori al seno e dei rischi cardiovascolari tra le donne che utilizzavano la Tos, la terapia ormonale sostitutiva; mentre sono stati sdoganati rimedi naturali e anche farmacologici, sempre in continua evoluzione.

Gli studi e la ricerca, intanto, hanno ampiamente dimostrato l'importanza degli estrogeni, sia nella loro funzione protettiva sul cuore, sia come partecipanti attivi nel metabolismo della ossa e nel mantenimento della tonicità della pelle. Perché, dunque, rinunciare alla Tos? «Lo studio del 2002 conteneva, purtroppo, come diremmo oggi, una serie di fake news - spiega Martin Birkhäuser, professore emerito di endocrinologia ginecologica e di medicina riproduttiva all'Università di Berna, e relatore al Forum di Zurigo - anche perché i ricercatori avevano somministrato gli ormoni sostitutivi a donne con un'età, per la maggior parte, intorno ai 67 anni (quindi 15 anni, in media, dopo l'avvio della menopausa): un periodo della vita in cui non si dovrebbe mai iniziare una terapia ormonale sostitutiva».

Dopo opportune verifiche, infatti, è stato dimostrato che la somministrazione di estrogeni e di altri ormoni andrebbe controllata e dovrebbe rispettare il dosaggio più opportuno per ogni singola donna, sotto sorveglianza medica. Non siamo tutte uguali e, calibrando la quantità di ormoni assunti, si riesce a ovviare a molti dei problemi della menopausa, cominciando dalle vampate di calore. Essendo gli ormoni dei fattori di crescita, l'utilizzo della Tos è comunque proibito per le pazienti che abbiano avuto un tumore al seno, all'utero e alle ovaie, o che soffrano di trombosi, epatiti e altri disturbi.

Tra l'udito e il cervello c'è un legame insospettabile

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Il rischio di demenza cresce di oltre tre volte in caso di ipoacusia. Più di 7 i milioni di persone interessate

Massimiliano Finzi

Sordità e abilità cognitive hanno uno stretto legame. Gli studi più recenti evidenziano come il calo uditivo possa aumentare di oltre tre volte il rischio di demenza e come le persone con un deficit cognitivo presentino, in tre casi su quattro, anche un calo dell'udito. Stando ai dati, oltre 7 milioni di italiani convivono con un deficit dell'udito e vanno incontro a un rischio maggiore di sviluppare forme di demenza. Lo mette in evidenza il recente rapporto «Il cervello in ascolto - Lo stretto intreccio tra udito e abilità cognitive», promosso da Amplifon. La società italiana è leader mondiale nelle soluzioni e nei servizi per l'udito. Attraverso una rete di 9.500 punti vendita, di cui 4.000 negozi diretti, 3.700 centri di servizio e 1.900 negozi affiliati, è presente in 22 Paesi nei cinque Continenti.

Un circolo vizioso a due direzioni, che crea un legame pericoloso e alimenta due vere emergenze sociali. Oggi 360 milioni di persone nel mondo convivono con un calo dell'udito e 47 milioni con una forma di demenza. Numeri che fanno pensare, destinati secondo gli studiosi, a raddoppiare, nei prossimi trent'anni, entro il 2050, a causa del progressivo allungamento dell'aspettativa di vita della popolazione, con 720 milioni di persone con un disturbo uditivo e quasi a triplicare con oltre 140 milioni colpiti da demenza. Numeri riconfermati anche durane le recenti celebrazioni, in tutto il mondo, per la giornata e il mese dedicati all'Alzheimer. Oggi più di un milione di persone, in Italia, convivono con una qualche forma di demenza.

«Il rapporto Il Cervello in ascolto porta nuove conferme - spiega Gaetano Paludetti, direttore dell'Istituto di Otorinolaringoiatria dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma sul legame tra udito e cervello. Se da un lato il deficit uditivo comporta cambiamenti strutturali e funzionali al cervello, dall'altro il peggioramento cognitivo facilita la comparsa di un calo della percezione e della comprensione verbale. Gli studi mostrano, inoltre, come maggiore sia l'ipoacusia, più elevato sia il rischio di sviluppare un deterioramento cognitivo grave, con un calo dell'udito che si associa a un incremento di oltre tre volte la probabilità di demenza. Questi dati evidenziano anche la necessità di un intervento tempestivo in caso di calo dell'udito, con la giusta amplificazione acustica, per mantenere nel tempo una buona funzionalità cerebrale». Per fortuna la ricerca sottolinea molto bene come uscire da questo circolo vizioso. L'utilizzo di protesi acustiche si associa a un declino cognitivo più lento e permette di mantenere una buona funzionalità cerebrale. Secondo le stime, rallentare di un solo anno l'evoluzione dell'ipoacusia potrebbe portare a una riduzione del 10% del tasso di prevalenza della demenza nella popolazione in generale.

Il rapporto mette in luce, soprattutto, l'importanza della personalizzazione delle soluzioni acustiche per l'udito Amplifon è in grado di tarare e controllare oltre 300 parametri digitali dei suoi apparecchi - e anche la necessità di valutare le capacità cognitive, prima dell'adozione delle stesse.

Due individui con un'uguale tipologia di calo uditivo, infatti, possono avere bisogno di soluzioni diverse in base allo stile di vita, alle abitudini di ascolto, alle preferenze estetiche, alle condizioni di salute e a quelle psicologiche e neurologiche.

Lavarsi le mani con il sapone gesto semplice ed efficace

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In questo modo si eliminano il 99,9% dei batteri Alcune regole da osservare per scongiurare le infezioni

Stefania Lolla

Il modo migliore per stare lontani dalle infezioni? Lavarsi le mani: un gesto semplice, ma incredibilmente efficace. A patto di utilizzare sempre il sapone, strofinando palmo e dorso per almeno 40-60 secondi, senza dimenticare gli spazi tra le dita o sotto le unghie.

Sciacquare poi bene le mani con acqua corrente tiepida e asciugarle con un asciugamano, meglio se di carta monouso. Il risultato è sorprendente: si eliminano il 99,9% dei batteri. «Le nostre mani sono un ricettacolo di germi. Una percentuale è rappresentata da microrganismi non patogeni, che risiedono nella cute senza creare danni. A questi possono aggiungersi virus e batteri che circolano nell'aria o con cui veniamo in contatto toccando le più diverse superfici», commenta Fabrizio Pregliasco, virologo dell'Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell'Irccs Galeazzi.

Pregliasco ha curato, in collaborazione con Sofidel, il decalogo 24 ore con le tue mani, presentato all'ultimo Global Handwashing Day. Come difenderci? «Innanzitutto», prosegue il virologo, «lavando bene le mani, poi prestando attenzione agli oggetti che tocchiamo».

MEGLIO LA DOCCIA

DEL BAGNO

Ecco le regole per una giornata all'insegna dell'igiene delle mani. Appena svegli non stropicciarsi gli occhi: uno studio della Washington University School of Medicine dimostra che in un campione di lenzuola esaminate, il 18% è risultato contaminato dallo Staphylococcus aureus, un pericoloso batterio. Meglio poi preferire la doccia: l'acqua della vasca può infatti diventare terreno di coltura per diversi batteri e funghi.

La terza regola prevede di indossare sempre abiti puliti e stirati e non portare le scarpe dentro casa, così come non appoggiare le borse a terra. È poi utile portare con sé una confezione di fazzoletti di carta, più igienici di quelli di stoffa.

I «PERICOLI» IN AGGUATO

SUL LAVORO

Una volta in ufficio - e questa è la quarta regola - lavarsi le mani prima di iniziare a lavorare. Anche se la maggior parte dei germi «incontrati» sui mezzi pubblici sono innocui, meglio non abbassare la guardia.

Fondamentale poi, come quinto punto, pulire periodicamente computer, telefono e cellulare con una salviettina o uno spray disinfettante.

La sesta regola da osservare è per l'utilizzo delle toilette pubbliche: concesso sedersi sulla tavoletta del wc, a meno che non sia visibilmente sporca, e dopo lavarsi le mani e asciugarle con salviette di carta monouso.

DAL PRANZO ALLA CENA

DI TUTTI I GIORNI

Settima regola: a mezzogiorno, se si pranza fuori casa, mettere la tovaglietta monouso sopra il vassoio, preferire posate confezionate e tovagliolo di carta usa e getta. Importante è anche educare i figli a lavarsi le mani quando tornano da scuola.

Giunti all'ora di cena - ed è il nono punto - bisogna, invece, lavare separatamente i cibi che si prendono dal frigo e asciugarli con la carta da cucina e non usare gli stessi utensili per alimenti diversi.

Infine, lavare piatti e stoviglie con detersivo e acqua calda e poi farli asciugare nello scolapiatti, molto più igienico dello strofinaccio.

La broncopneumopatia cronica ostruttiva raccontata dai pazienti

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L'allarme: «La maggior parte di chi ne soffre era fumatore»

Metà degli italiani sa che cos'è l'asma, ma poco più di un cittadino su dieci conosce la broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), anche si tratta di una condizione purtroppo abbastanza diffusa. Ce lo rivela il professor Stefano Centanni, pneumologo all'Asst Santi Paolo e Carlo di Milano, invitato alla presentazione dei risultati di una ricerca di medicina narrativa condotta da Fondazione Istud per Chiesi Farmaceutici dal titolo emblematico: «Progetto Faro: far luce attraverso i racconti di Bpco». L'incontro si è tenuto nella prima metà di ottobre a Milano.

«La Bpco - ha tenuto a precisare il professor Centanni - non è una malattia, ma una somma di diverse patologie quali la bronchiolite e l'enfisema polmonare. La broncopneumopatia cronica ostruttiva è un problema enorme e con un pesantissimo impatto sanitario e sociale. Dalle banche dati dei medici di medicina generale risulta che ne siano affetti 2 milioni di italiani, ma in realtà potrebbero essere 3,5 milioni, perché moltissimi sono i casi non diagnosticati».

Diverse le ragioni per le quali non si giunge spesso alla diagnosi o vi si arriva in ritardo. Tra queste una è la stessa concomitanza di diverse patologie che caratterizza la Bpco fin dalla sua forma più moderata, quando per esempio si manifesta con i sintomi di una bronchite cronica, con catarro, tosse ricorrente e mancanza di fiato. «Va sottolineato - ha aggiunto il pneumologo dell'Asst Santi Paolo e Carlo di Milano - che la maggior parte dei pazienti con Bpco sono stati dei fumatori».

La lotta contro la Bpco, o almeno contro l'aumento dei casi più gravi che provocano una rilevante perdita di autonomia da parte dei pazienti, va combattuta con l'informazione, la prevenzione e un maggiore dialogo tra medici e pazienti. Anche per questo motivo è utile una ricerca come quella presentata a Milano, basata su 350 interviste di cui 235 di pazienti, 55 di familiari e 60 di medici, insieme per la prima volta in tutta Italia.

«L'obiettivo di questa ricerca di medicina narrativa è di fornire gli strumenti per trovare codici di relazione più efficaci sul rischio della patologia, in modo da permettere un allineamento terapeutico tra i curanti, i curati e i familiari», ha sintetizzato Maria Giulia Marini, direttore Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD. Aderire al progetto di medicina narrativa di Fondazione ISTUD, ribadisce la volontà di Chiesi di essere vicina al paziente, ascoltando la sua voce e quella di chi gli sta intorno. In questo caso particolare, utilizzando una metodologia di ricerca che potesse far emergere anche nuove soluzioni per la gestione della malattia, ha chiosato Marco Zibellini, direttore medico di Chiesi Farmaceutici.

RCe

La benzina della tiroide? Il sale (ma con lo iodio)

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Marco Palma

È la ghiandola più importante, assieme all'ipofisi, del nostro sistema endocrino. La tiroide è situata nella parte anteriore del collo poco sotto la laringe, immette in circolazioni ormoni, il T3 e T4, che stimolano il metabolismo energetico cellulare, i carboidrati, i grassi e le proteine, è responsabile dei processi di crescita e di sviluppo sessuale. «Con una simile carta di identità non possiamo che trovarci di fronte ad un organo importantissimo del corpo umano: un vero e proprio direttore d'orchestra del sistema endocrino, che deve suonare alla perfezione e che trova nelle sue gravi stonature (il diabete mellito e l'obesità), due nemici per la nostra salute fin dalla più tenera età». A dirlo a Il Giornale è uno degli endocrinologi presenti nel board europeo di questa specializzazione, il professor Salvatore Corsello, primario endocrinologo dell'università Cattolica Policlinico Agostino Gemelli di Roma. «La tiroide oggi si ammala forse più di ieri ma siamo in grado di fare prevenzione, diagnosi precoce e attuare quelle armi a disposizione dello specialista, mediche e chirurgiche, che possono restituire una qualità di vita assolutamente normale al malato».

Anzitutto la prevenzione quindi, che riguarda ognuno di noi fin dai primi anni di vita.

LA CURA DEL SALE

«L'impiego quotidiano di sale da cucina iodato, (4/5 grammi al giorno) supplisce facilmente una eventuale carenza di iodio, che è la benzina per la nostra tiroide» dice Corsello. «Una modica quantità, specie per gli ipertesi, che deve essere iodata. Il fabbisogno aumenta in gravidanza a tutto vantaggio del feto, ma è una costante di tutta la nostra vita, specie per le donne che si ammalano di patologie della tiroide quattro volte più degli uomini». Ogni qual volta facciamo gli esami del sangue di routine va controllato il funzionamento della tiroide attraverso il T3 T4 e TSH, a maggior ragione se esiste una patologia familiare.

TROPPO CALDO E TROPPO FREDDO

«Nella diagnostica del nodulo tiroideo - aggiunge Corsello - la tecnica più importante è l'ecografia in grado di identificare la presenza di uno o più noduli. Oggi è possibile avvalersi di una evoluzione di questa analisi strumentale con l'ecocolordoppler che mette in evidenza la vascolarizzazione del quadro tiroideo. Si passa poi alla scintigrafia tiroidea mediante un innocuo tracciante radioattivo somministrato al paziente e rapidamente eliminato dall'organismo. Questo tracciante viene captato dalla tiroide e potranno essere rilevati dei noduli cosiddetti caldi o freddi a secondo della funzionalità dell'organo».

Quali sono le patologie più importanti che colpiscono questo organo? «Possiamo parlare di carcinoma midollare, e di carcinoma papillifero. Raro ma più aggressivo il primo più diffuso e meno cruento il secondo dice il dottor Gennaro Sogliano endocrinologo dell'Università Federico II di Napoli anche se per fortuna la percentuale dei tumori maligni è molto bassa: non supera il 6 per cento. Tra l'altro oggi possiamo rassicurare questi malati che non sono carcinomi particolarmente aggressivi, sono curabili e con più che buona percentuale di guarigione».

Da ultimo è bene parlare di un semplice ma importantissimo esame che però deve essere eseguito esclusivamente dietro parere dello specialista: l'ago aspirato. «Esame ambulatoriale, innocuo, generalmente indolore ma importantissimo dice Salvatore Corsello che consiste nella introduzione di un sottilissimo ago nel nodulo da esaminare e attraverso il prelievo cellulare al microscopio verrà fatta una corretta valutazione e diagnosi per poi procedere alle cure mediche o chirurgiche». Quali conseguenze derivano da un cattivo funzionamento della tiroide? Se consideriamo l'ipotiroidismo sono affaticabilità, sonnolenza, riduzione della memoria, freddolosità, aumento di peso e gonfiore. Per quanto riguarda l'ipertiroidismo invece intolleranza al caldo, palpitazioni, perdita di peso, tremori. Nei casi più comuni compare il fenomeno del gozzo, cioè gonfiore enorme del sottogola.


Allarme Hiv, 122mila infetti inconsapevoli in Europa

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"L'infezione da Hiv non si è fermata e non è in declino". È con questo monito che si è aperta oggi a Milano la 16esima European Aids Conference

In Europa sono in aumento i decessi per overdose e si temono nuovi casi di infezione da Hiv dovuti a siringhe infette. Inoltre, in generale, "l'infezione da Hiv non si è fermata e non è in declino". È con questo monito che si è aperta oggi a Milano la 16esima European Aids Conference promossa dall'Eacs (European Aids Clinical Society).

Se da un lato sembra infatti che la diffusione dell'Hiv nei Paesi Ue sia rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi 10 anni - con 29.747 nuovi casi nel 2015, cioè 6,3 persone su 100 mila rispetto alle 6,6 del 2006 - dall'altro l'European Center for Disease Prevention and Control (Ecdc) ha stimato che sfuggono alle statistiche ufficiali 122 mila persone (il 15% sul totale in questa regione). Persone che convivono con l'Hiv senza saperlo.

C'è poi il dato sul ritardo con cui si arriva alla diagnosi: occorrono in media quasi 4 anni (3,8) prima che un nuovo contagio da Hiv sia diagnosticato. Un numero che, fanno notare gli esperti, suggerisce l'esistenza di persistenti problemi di accesso ai test per l'Hiv in molti Paesi. Tanto che dal palco milanese della Conferenza arriva un appello per abbattere le barriere che ne ostacolano l'utilizzo.

Tumori, italiani scoprono come "frenano" sistema immunitario

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Identificato il gene che frena le difese immunitarie: disattivandolo si possono riattivare le difese naturali contro il cancro

Un nuovo passo contro la lotta ai tumori. Grazie alla risposta a questa domanda: come mai il nostro sistema immunitario, così pronto ad attivarsi per un semplice raffreddore, non reagisce massicciamente contro una minaccia ben più grave come quella del cancro?

Un gruppo italiano, in uno studio coordinato e diretto da Humanitas di Milano e sostenuto da Airc (pubblicato oggi su Nature), ha scoperto la possibile chiave: un gene, chiamato IL-1R8, scoperto dallo stesso team nel 1998. Disattivandolo si possono riattivare le difese naturali del nostro corpo contro il cancro, in particolari contro le metastasi al fegato e al polmone.

"Il nostro sistema di difesa è un pò come una straordinaria automobile, capace di viaggiare ad elevata velocità - spiega Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas - per funzionare bene e non andare fuori strada ha bisogno di acceleratori che la fanno partire e correre, ma anche di freni che le consentono di rallentare e, quando è il caso, fermarsi".

"Identificare la sua azione come freno all'attività delle nostre cellule di difesa (in particolare delle cellule chiamate Natural Killer) presenti in sedi specifiche quali fegato e polmone - spiega Martina Molgora, ricercatrice di Humanitas - ci ha permesso di vedere che, togliendo il freno, le cellule NK si attivano a difesa di questi organi contro cancro e metastasi".

"La scoperta di IL-1R8 - auspicano gli scienziati - apre ora la strada all'uso sempre più efficace di armi immunologiche contro diversi tumori, a vantaggio di un sempre maggiore numero di malati"

Ricerca: arriva la "matita rossa" per correggere il Dna

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Il nuovo enzima è una "aggiunta veramente eccitante alla lista degli strumenti di ingegneria genomica"

Gli scienziati impegnati nell'editing del Dna hanno appena ottenuto un nuovo strumento: una matita appuntita e precisissima. I ricercatori americani del team di David Liu dell'Howard Hughes Medical Research Institute hanno infatti costruito in laboratorio un enzima che può eseguire un'operazione prima impossibile sul Dna, modificandolo lettera per lettera.

In pratica, ora gli studiosi sono in grado di sostituire direttamente la coppia di basi da una A-T a una G-C. Il nuovo enzima, ribattezzato editor delle basi, potrà permettere in futuro una sorta di chirurgia genomica in grado di cancellare le mutazioni dannose e scrivere quelle benefiche.

La ricerca è descritta su Nature, ed esce in contemporanea con un lavoro su Science dove gli scienziati del Broad Institut e del Mit guidati da Feng Zhang spiegano in che modo hanno ingegnerizzato l'editing genetico per ritoccare l'Rna nelle cellule umane a livello di singole lettere.

Insomma, Dna ed Rna possono essere riscritti lettera per lettera. Il nuovo enzima è una "aggiunta veramente eccitante alla lista degli strumenti di ingegneria genomica", afferma Feng Zhang, biologo molecolare al Broad Institute del Mit e di Harvard, che non è coinvolto nello studio su Nature ma è autore senior di quello su Science.

"È un ottimo esempio di come possiamo sfruttare enzimi e processi naturali per accelerare la ricerca scientifica". La matita che può riscrivere singole lettere del Dna è stata creata in laboratorio e si chiama Abe7.10. Ma come funziona? Il metodo "Crispr è come un paio di forbici e gli editor delle basi sono come matite", dice Liu, biologo chimico e molecolare all'Università di Harvard e al Broad Institute, illustrando il suo lavoro.

Queste matite negli esperimenti hanno invertito una mutazione associata a malattie del sangue. "Stiamo lavorando duramente per cercare di tradurre la tecnologia di base in terapie umane", dice Liu ammettendo comunque di dover affrontare ancora molti ostacoli prima di perfezionare la tecnica e poterla usare sull'uomo.

"I videogiochi sono sport". La svolta punta le Olimpiadi

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Medaglie già a partire dai Giochi del 2024 a Parigi? Ma Bach si ribella: "L'attività dovrebbe essere fatica..."

Magari solo a scopo dimostrativo, ma i videogiochi potrebbero già essere disciplina olimpica a Parigi 2024. Lo fa capire il Cio che sdogana definitivamente i maneggiatori di consolle ed equipara SuperMario al decathlon. Inevitabile nell'era del virtuale è (pure) meglio. Detto ciò chi ancora pensa che lo sport sia fatica, corpo scolpito e infortuni se la prenderà a male. Non resta che augurarci noi tastieristi italiani aperture alle Whatsappate, lo sport nazionale e bacino di medaglie come la scherma, il nuoto di fondo e il tiro a volo.

La storica decisione del Cio è stata comunicata ieri pomeriggio dopo l'atteso summit di Losanna. Per la prima volta si sostiene che i cosidetti e-sports possono essere considerati «attività sportiva in piena regola». Naturalmente, dicono sempre dal Cio, i videogiochi per essere pienamente riconosciuti come sport dovranno rispettare i valori olimpici e dotarsi di strutture per i controlli antidoping e la repressione di fenomeni come le scommesse. In concreto c'è la possibilità che nel carnet di titoli olimpici di Parigi 2024 possa esserci qualche videogioco che noi ancora non conosciamo. Tony Estanguet, copresidente del comitato organizzatore di Parigi ha, infatti, confermato che è in programma un colloquio con il comitato olimpico internazionale per far sì che il Videogaming (tecnicamante si dice così) preveda almeno cinque titoli olimpici.

«Gli e-sports competitivi - è scritto nel comunicato del Comitato internazionale olimpico - possono essere considerati un'attività sportiva, e i giocatori coinvolti si preparano e allenano con un'intensità che può essere paragonata a quella degli atleti delle discipline tradizionali». Naturalmente il Cio fa notare quanto «gli e-sports siano in forte crescita, in particolare fra i giovani dei vari Paesi, e ciò può essere la piattaforma per un coinvolgimento definitivo nel movimento olimpico». Nella nota viene auspicato che il Cio stesso assieme alle associazioni internazionali delle varie federazioni sportive «abbia un dialogo con l'industria dei videogiochi e i cibernauti per esplorare maggiormente questa area e le possibilità che offre».

L'idea romantica dello sport come impresa fisica ha comunque qualche baluardo che ancora conta. Lo scorso 15 aprile il presidente del Cio Thomas Bach aveva espresso la propria personale contrarietà su qualcosa che a suo parere «ha ben poco a a che fare con l'attività fisica e col concetto di sport». Bach aveva già condannato la decisione di introdurre i videogiochi di tipo sportivo nel programma dei Giochi Asiatici del prossimo anno in Indonesia. Inutile contrarietà. Oltretutto pare certo che gli organizzatori di Parigi 2024 abbiano già parlato diffusamente dei videogiochi da medaglia prima dell'assegnazione ufficiale di questa edizione dei Giochi che poi la capitale francese ha ottenuto.

Tanto per capire: i videogiochi muovono un business di 493 milioni di dollari ogni anno nel mondo, con una globale partecipazione di 320 milioni di giocatori, in larga parte giovani sotto i 30 anni. E questi sono dati vecchi di due anni. Evidentemente la sapevano lunga questi francesi...

La maculopatia porta alla cecità ma gli italiani non lo sanno

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Pubblicata la ricerca sulla maculopatia. Molti degli italiani non sono a conoscenza dei sintomi. Gli scienziati: "Importante diagnosi precoce"

Ne soffre il 5,3% della popolazione oltre i 50 anni, per un totale stimato di 1.400.000 sofferenti in Italia. Eppure in molti non lo sanno. Oppure lo scoprono troppo tardi.

Sono questi i risultati della prima indagine a livello nazionale sulla Degenerazione Maculare. La ricerca, condotta dall'istituto Lorien Consulting in collaborazione con il Centro Ambrosiano Oftalmico (CAMO), ha permesso di rivelare come solo l'11% della popolazione conosce questo tipo di malattia, nonostante sia molto diffusa. Solo dopo averne riferito la corretta definizione, infatti, i conoscitori fra la popolazione raggiungono il 41%, che resta ben al di sotto della metà degli intervistati, mentre raggiunge il 100% fra i sofferenti. Per i non sofferenti che la conoscono, comunque, il passaparola è il principale canale di comunicazione (10%), mentre ancora molto bassa è la percentuale di persone che ne hanno sentito parlare tramite i media tradizionali.

Secondo quanto emerso dal campione preso a riferimento dai ricercatori, i sofferenti risultano essere in prevalenza donne (il 69% contro il 54% del totale), in prevalenza provenienti dal Nord Ovest (40% contro 27%), con un'età distribuita in maniera diametralmente opposta rispetto alla popolazione e con una maggiore concentrazione di ultraottantenni (54% contro 14%).

Spesso da Degenerazione Maculare può correre di pari passo insieme ad altre malattie. Per esempio, chi ne soffre è maggiormente affetto da diabete (25%) rispetto al resto della popolazione over 50 (11%), ha subito o interventi di cataratta (35% vs 13%) o soffre di ipertensione (46% vs 35%), così come ci sono più fumatori tra i sofferenti (31%) che nel resto del campione (23%).

Ma come si capisce se una persona è affetta da Degenerazionemaculare? Di solito si percepiscono macchie scure (scotomi) e di distorsioni (metamorfopsie) agli occhi, fino quasi alla perdita della vista. "Una diagnosi precoce, ottenibile con un semplice esame non invasivo che dura pochi minuti - sottolinea il professor Francesco Bandello, ordinario di Oftalmologia dell'Università Vita e Salute del San Raffaele - è fondamentale per anticipare la terapia nei tempi giusti".

"Proprio perché siamo consapevoli che la popolazione ignora la gravità della maculopatia - spiega il dottor Lucio Buratto, Direttore scientifico del Centro Ambrosiano Oftalmico (Camo) - abbiamo deciso di attuare questo grande screening con una task force di specialisti. Vogliamo fermare questa epidemia che porta grave compromissione della vista".

"L'indagine infatti ha fatto emergere un alto numero di sofferenti di questa patologia - ha commentato il Presidente di Lorien Consulting e direttore della ricerca, il dottor Paolo Rossi - Eppure sono ancora in pochissimi a conoscerla e a ricordare dettagli correlati a essa. Chi la vive ne conosce certamente il livello di gravità, ma fra gli altri la conoscenza è talmente esigua da non sapere che basterebbe una visita medica oculistica per averne una prima diagnosi".

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