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Come difendere il tesoretto di ferro Occhio al veg, è alleato dell'anemia

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Mara Agostoni

Quattro grammi di metallo. Una piccola vite che fa funzionare tutto l'ingranaggio umano. E' il tesoretto di ferro di cui è dotato l'organismo: tre grammi in circolazione, un grammo di riserva immagazzinato nel fegato. Senza quei quattro grammi la macchina si inceppa: manca l'elemento base per la produzione di emoglobina, la proteina vettore dell'ossigeno, che così si riduce. Come proteggere il tesoro di ferro? Non è in uno scrigno chiuso e non si conserva intatto per tutta la vita. Si consuma in parte quotidianamente e deve essere reintegrato. Oggi, fra nuovi regimi alimentari, diffusione di alcuni farmaci e perdurare di falsi miti, farlo può diventare difficile.

IL TESORETTO

Si chiama anemia, il ridotto livello di emoglobina nel sangue. La concentrazione della proteina che trasporta ossigeno dovrebbe essere di 13 grammi per decilitro di sangue nell'uomo, di 12 nella donna. L'anemia si definisce lieve se non si scende sotto i 10 grammi, moderata fra i 10 e gli 8 grammi, severa con valori più bassi. Sono diverse la cause che la possono provocare, da un tumore a un difetto genetico, ma la carenza di ferro è quella prevalente. Le perdite del prezioso metallo sono in parte fisiologiche, per il ricambio cellulare, in particolare dell'epidermide o della mucosa intestinale. Normalmente, si consumano così uno o due milligrammi di ferro al giorno e devono essere reintegrati attraverso l'alimentazione: una dieta equilibrata contiene fra i 15 e i 30 milligrammi di ferro, e di questi l'intestino ne assorbe circa il 10 per cento.

«Le cause dell'anemia possono essere nutrizionali e questo può ricondursi alla crescente abitudine alimentare di tipo vegetariano o vegano», spiega Maria Domenica Cappellini, direttore del dipartimento di Scienze cliniche e di comunità dell'Università degli Studi di Milano e già presidente della Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie: «L'apporto di ferro è bassissimo nella dieta vegetariana e praticamente nullo in quella vegana. Altra possibile causa possono essere i sanguinamenti del tratto intestinale. E' anche possibile che una carenza di ferro si instauri per problemi legati al suo assorbimento. Una eccessiva acidità gastrica può alterare la mucosa duodenale, a livello della quale avviene l'assorbimento del ferro, ma un particolare ruolo può avere un batterio, l'helicobacter pylori, un'infezione abbastanza comune che ostacola l'assorbimento del ferro».

ATTENTI AL TRENO

Stanchezza, difficoltà di concentrazione, dolori muscolari, pallore. Dello squilibrio fra entrate e uscite, nel bilancio del ferro, ci si accorge solo quando compaiono i sintomi dell'anemia. «C'è la possibilità di verificare quello che sta accadendo, attraverso la ferritina, il marker biologico che ci dice che stiamo riducendo le riserve nel fegato - spiega Cappellini - ma generalmente ci si accorge quando sono esaurite». Non è troppo tardi, basta che la diagnosi sia fatta correttamente, con gli esami del sangue: «I passi sono semplici: emocromo, per verificare i parametri relativi a globuli rossi ed emoglobina, e tre test, tutti importanti, su sideremia, transferrina e ferritina. La transferrina è il trenino che trasporta il ferro e in condizioni normali è saturata al 30%: in parole povere, se si scende sotto questo valore significa che c'è meno ferro da mettere sul trenino. Occorrono questi tre elementi per una diagnosi corretta». Buona regola poi, osservare se il colore delle feci diventa scuro, può essere un segnale di microperdite. Fra gli esami diagnostici quindi si possono affiancare gastroscopie e colonscopie.

VERO E FALSO

Serve naturalmente correggere l'alimentazione. Il ferro che viene più facilmente assorbito dall'organismo umano è quello contenuto nella carne. Al top, c'è quella di cavallo: in 100 grammi si trovano 3,9 milligrammi di ferro, più del doppio rispetto ai tagli bovini e più del triplo rispetto a pollo e tacchino. Anche la quota assorbita è alta, quasi un milligrammo, e ben superiore a quella del ferro in forma inorganica presente nei vegetali. Fra questi ultimi, un buon contenuto di ferro si trova in legumi, cacao, frutta secca e verdura come spinaci o broccoletti. Ma attenzione ai falsi miti, come quello di Braccio di Ferro. Nessun contenuto straordinario di ferro negli spinaci: circa 3 milligrammi, ma difficilmente assorbibili per la presenza di acido ossalico, che ne limita la biodisponibilità. Inibiscono l'assorbimento del ferro anche caffè e tè, mentre lo favorisce la vitamina C.

Per rimediare alla carenza di ferro agire sull'alimentazione non basta, e lo chiarisce bene Cappellini: «Bisogna smontare alcuni luoghi comuni. La mucosa duodenale è settata per assorbire 2-3 milligrami al giorno di ferro: mangiare molta carne tutti i giorni non serve. Se le riserve sono state consumate, il ferro, che è un elemento essenziale, va somministrato, scegliendo i farmaci giusti che ne contengono la quantità sufficiente. Così, anche tutte le formulazioni omeopatiche che contengono ferro fra i vari elementi non sono curative nei soggetti con anemia sideropenica». La prima scelta è la terapia per bocca. La seconda, la somministrazione per via endovenosa.


Pronto soccorso a rischio collasso: registrati 2800 accessi ogni ora

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Pronto soccorso sempre in affanno: si registrano ogni ora circa 2800 accessi, complice la scarsità di medici di base e strutture

I pronto soccorso rischiano il collasso. Sono sempre di più gli italiani che scelgono di sobbarcarsi le lunghe ore di attesa pur di risolvere un problema che considerano urgente. E il motivo risiederebbe nel fatto che i medici di base e di strutture scarseggiano. Come rileva un rapporto sul sistema sanitario italiano di Eurispes e Enpam, ogni anno un italiano su tre si è recato al pronto soccorso. Il dato è abnorme e rischia di portare il sistema al collasso.

Negli 844 pronto soccorso presenti sul territorio nazionale, ogni ora si registrano circa 2800 accessi. In totale si registrano dunque 24 milioni di visite ogni anno, il che signfica che circa un italiano su tre ci va almeno una volta all'anno, per rispondere a situazioni spesso targate sotto il codice verde. Questo provoca naturalmente "il crearsi di situazioni di affollamento che costringono il paziente a sostare nei corridoi o nelle sale d'attesa prima di poter accedere ai reparti, una volta che si sia liberato l'agognato posto letto". Inoltre, "l'eccessivo ricorso ai pronto soccorso genera paradossali aree di criticità in relazione agli spazi e alle dotazioni propri". In generale, poi, l'attesa per accedere al reparto va dalle 24 alle 72 ore.

Complice di questo dato allarmante è anche il fatto che l'Italia investe solo il 14,1% della spesa pubblica per mantenere il proprio sistema sanitario, ovvero l'1,1% in meno rispetto alla media europea. In generale, si tratta del 7% del pil. Il paese che investe invece la quota più alta è l'Irlanda, che spende il 19,3%.

Fate attenzione alla piscina I bambini mai senza cuffia

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Le malattie dell'orecchio colpiscono i bambini soprattutto d'inverno: tanto più dolorose e di difficile identificazione se siamo in età neonatale. «In generale possiamo dire che sono il freddo e le infezioni alle alte vie respiratorie (come raffreddore, soprattutto il mal di gola, le tonsille infiammate, le adenoidi e la febbre), i grandi nemici delle malattie auricolari in età pediatrica. Tutte dovute alla circolazione di virus influenzali dice il dottor Marco Sinibaldi pediatra dell'Università La Sapienza di Roma - ma anche di batteri che si possono prendere in particolari ambienti». E' il caso anzitutto delle piscine «dove lo sport per un bambino è fondamentale ma altrettanto importante deve essere sia l'equipaggiamento, la cuffia protettiva, sia il dopo, cioè asciugarsi adeguatamente, non rimanere umidi in testa e non uscire subito all'esterno». Il passaggio repentino dal caldo al freddo è deleterio specie se il bambino è piccolo. Si può ammalare di otite almeno una-due volte all'anno e la causa più comune è una infiammazione alle tube di Eustachio causata dal raffreddore e mal di gola. Se poi il dolore persiste oppure aumenta è possibile che si tratti di un'otalgia dovuta a virus di altra natura o a un tappo di cerume che si è ingrossato a contatto con l'acqua».

Altra causa che provoca dolore acuto e fuoriuscita di pus o liquido ematico è la rottura del timpano. Qui è fondamentale intervenire nel più breve tempo possibile portando il bambino in strutture di emergenza pediatriche. Attenzione poi all'alta pressione se «si fa una gita in montagna o se il bambino prende l'aereo: due situazioni da gestire dietro consiglio medico per evitare possibili conseguenze». Inoltre prestare attenzione fin dall'età neonatale «al normale sviluppo del bambino che prevede la percezione dei suoni e l'inizio della parola. In presenza di anomalie o di ritardi sarà lo specialista che affronterà questi problemi», mentre in una situazione di normalità «un' annuale visita pediatrica metterà in evidenza il buon funzionamento uditivo nel bambino o la presenza di possibili patologie».

M.P.

Il mal d'orecchi non si vuol sentire

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Ne soffrono venti milioni di italiani ma spesso i sintomi sono trascurati. Attenzione al freddo

Marco Palma

Dei cinque sensi è il più delicato: perché è sottoposto continuamente a sollecitazioni sempre maggiori. Ma è anche quello su cui facciamo poca prevenzione e per la sua importanza ne avrebbe bisogno spesso nel corso della nostra vita. L'udito come senso, l'orecchio come organo: fondamentali non solo per l'ascolto, ma per l'equilibrio psicologico e fisico della nostra persona.

«Solo quando ci si ammala ci accorgiamo da quanti e quali problemi veniamo colpiti: dolore, assenza o quasi di udito, mal di testa e di gola; ronzio fino ad arrivare a sensazioni di vertigini. In poco tempo sembra che siamo isolati dal mondo che ci circonda» dice a Il Giornale il professor Giancarlo Cianfrone, primario di audiologia e otorinolaringoiatra dell'Università La Sapienza di Roma. E come tanti disturbi anche quelli che colpiscono l'orecchio si fanno maggiormente sentire nella stagione invernale. «Il freddo, lo sbalzo di temperatura, il vento e l'umidità sono i grandi nemici di questo organo resistente a tante sollecitazioni ma anche molto delicato, più di quello che possiamo immaginare - dice Cianfrone - ed è valido per tutte le età».

LE NOIE FREQUENTI

Tra infezioni, infiammazioni, lesioni per trauma, le patologie dell'orecchio sono tante. Anzitutto l'ipoacusia, cioè la diminuzione dell'udito, che può essere temporanea, parziale, totale, permanente e le cui cause sono molteplici. Altro disturbo frequente tra la popolazione adulta sono gli acufeni, conosciuti comunemente come ronzii o rumori percepiti nell'orecchio in assenza di un rumore effettivo. Spesso sottovalutati, hanno cause diverse e quasi sempre quando si arriva dallo specialista il malato rischia di sottoporsi a una cura lunga e difficile. Ci sono poi patologie, alcune di molto serie, che riguardano l'orecchio esterno come il tappo di cerume che può essere infettante, micosi, eczemi, alcune forme di otiti per poi passare all'orecchio interno con altre forme di otite, otosclerosi, mastoidite. Questo importante organo può essere colpito poi in alcune sue parti che riguardano il timpano, le trombe di Eustachio. Fino ad arrivare a forme tumorali come il neurinoma dell'acustico, che colpisce questo fondamentale nervo.

Ma non solo, perché a carico di tutto il padiglione uditivo «ci possono essere lesioni, profonde o superficiali, che riguardano alcune zone dell'orecchio la cui causa è essenzialmente traumatica aggiunge il dottor Filippo Auriemma dell'Istituto di Otorinolaringoiatra dell'Università Federico II di Napoli e da ricondurre o a lavori particolarmente usuranti, come artificieri militari, minatori o a traumi barometrici, cioè relativi a repentini o prolungati sbalzi di pressione. E il classico esempio è il trauma da decompressione per i sub».

QUANDO FARSI AIUTARE

Infezioni ed infiammazioni si fanno sentire soprattutto nel periodo invernale: «Sono quelle più fastidiose, dolorose ma anche inizialmente sottovalutate. Basta passare dal caldo delle pareti domestiche alle basse temperature esterne, azionare i riscaldamenti e poi uscire di nuovo all'esterno, specie nelle giornate di forte umidità. Proprio allora il nostro orecchio si ammala aggiunge Cianfrone e la cura è affidata non subito allo specialista. Arriva puntuale il fai-da te o il consiglio dell'amico o del vicino, l'uso di farmaci inappropriati. A cominciare dal cortisone che come ogni altra medicina deve essere prescritto dal medico curante. Così come va detto che anche un raffreddore, mal di gola o infiammazione alle vie aeree superiori possono portare a patologie a carico dell'orecchio».

Per tutte le malattie sono stati compiuti molti passi avanti: farmaci biologici, cellule staminali e chirurgia con strumentistica sempre più perfezionata «soprattutto per quanto riguarda la cura della sordità, dove protesi di ultima generazione sempre più piccole e mininvasive hanno permesso la percezione di suoni e di voci impensabili fino a pochissimi anni fa» dice ancora Auriemma.

Ma cosa dobbiamo fare per una buona prevenzione per il nostro udito? «Due cose fondamentali: non arrivare dallo specialista a disturbi presenti già da qualche tempo, ma ai primi sintomi e sottoporsi almeno una volta l'anno da adulti ad una visita audiometrica, l'esame fondamentale per la percezione uditiva; visita che può essere fatta più frequentemente dopo i 65 anni di età».

Il regalo di Natale richiesto dalle donne? Lifting 3D e creme alle cellule staminali

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Il dottor Alberto Armellini, della Gianicolo Plastic Surgery Institute di Roma, specialista in chirurgia plastica, estetica e ricostruttiva, svela i segreti per una bellezza naturale e senza tempo.

Il desiderio di bellezza non conosce crisi. Lo sa bene il dottor Alberto Armellini, noto chirurgo plastico della capitale, pioniere del Lifting Facciale 3D, ideatore di una linea di creme innovative, collaboratore del professor Edward Terino di Los Angeles e Marchigiano dell’anno 2017, che svela i segreti per una bellezza naturale e senza tempo. Sempre più donne e uomini di tutte le età, infatti, si rivolgono allo specialista in chirurgia plastica per correggere un inestetismo male accettato, conservare o recuperare un aspetto fresco, riposato e perché no anche più giovanile.

Dottor Armellini, che significato ha per lei aver ricevuto il prestigioso premio nazionale Marchigiano dell’anno 2017?

Ha tanti significati, ma due sono particolarmente sentiti. Il primo si riferisce alla mia professione alla quale ho dedicato e dedico tutto me stesso. Il secondo al mio essere e sentirmi Marchigiano nonostante sia cresciuto ed abbia sempre vissuto e studiato a Roma. Nella vita è importante dove si arriva ma lo è ancora di più ricordare le origini e le mie radici sono Marchigiane.

Lei è il pioniere del Lifting Facciale Tridimensionale. Di cosa si tratta?

Con il mio maestro, il professor Terino di Los Angeles, tra i più grandi chirurghi plastici di sempre, abbiamo sviluppato una nuova filosofia che supera la vecchia e tradizionale chirurgia bidimensionale, cioe scolla e tira, che dava luogo a risultati finti e spesso tutti uguali. La nostra chirurgia prende in considerazione il fatto che il viso non è altro che un susseguirsi di convessità e concavità e nel totale rispetto dell anatomia consente risultati bellissimi e naturali. Oggi tanti chirurghi si stanno ispirando a noi e di questo siamo molto fieri. Tale chirurgia è la chirurgia del futuro.

Quale è il segreto del Lifting3D?

È indispensabile un rigoroso studio del volto, abilità manuale, spiccato senso del bello e delle proporzioni. È scienza ed arte insieme.

Lei è ideatore di una linea cosmetica di lusso made in Italy. Come è nata questa nuova avventura?

Deriva direttamente dalla mia esperienza ultra ventennale nei trattamenti infiltrativi di ringiovanimento della cute. Mi sono ispirato alla medicina e chirurgia rigenerativa che utilizza cellule staminali del tessuto adiposo e fattori di crescita delle piastrine dello stesso paziente per dare volume, creare forme ma soprattutto per migliorare il tono e l elasticità della cute. Grazie alla altissima professionalità di cosmetologi, chimici e farmaceutici siamo riusciti a sviluppare una linea assolutamente innovativa che utilizza cellule staminali e fattori di crescita vegetali oltre ad acidi ialuronici di grande qualità con diversi pesi molecolari. Grazie all’utilizzo quotidiano di cosmesi di altissimo livello riusciamo a curarci tutti i giorni e migliorare la bellezza e la salute della cute.

Molte e molti VIP, ma anche star di Hollywood utilizzano le sue creme. Già questo è un ottimo inizio...

Ci fa sicuramente piacere, ma le nostre creme sono rivolte a tutti e a tutte coloro che desiderano prendersi cura quotidianamente dell`organo più esteso che abbiamo: la cute, che deve essere si bella ma soprattutto sana.

Spa di meravigliosi Hotel di lusso del Mediterraneo già usano i suoi prodotti?

Si, siamo molto felici che le nostre creme siano richieste da strutture di eccellenza e che siano molto apprezzate sia per la qualità che per la bellezza e la tecnologia che esprimono.

Farsi le ossa col Thai Chi la danza al rallentatore che fa bene allo scheletro

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È un sistema di prevenzione contro la perdita della massa ossea e muscolare che sopraggiunge con l'età Benefici significativi soprattutto per collo del femore e anca

Mara Agostoni

Farsi le ossa con il Tai Chi. Per rendere più robusto lo scheletro, più sicuro il passo e stabile l'equilibrio medici e ricercatori consigliano l'arte marziale dai movimenti lenti che viene dalla Cina. Oltre che una tecnica di combattimento, secondo una serie di studi pubblicati in questi mesi, è un sistema di prevenzione rispetto alle perdite di massa ossea e muscolare che sopraggiungono con l'età e alle cadute, che per le persone anziane possono essere molto pericolose.

IL PASSO DELLA TIGRE

Si stima che circa il 40% delle donne in menopausa vada incontro, lungo il resto della vita, ad almeno una frattura. Secondo l'Organizzazione mondiale della Sanità circa un terzo degli anziani sopra i 65 anni cade, e il 10% delle cadute produce lesioni gravi, dalla frattura del femore ai traumi al cervello.

A 50 anni il 15% delle donne soffre di osteoporosi e il 40-50% di osteopenia, ovvero di riduzione del tessuto osseo, a 75 anni le percentuali salgono rispettivamente a 40 e 95%, ma con gli anni in più non è solo lo scheletro a diventare più fragile: sopra il mezzo secolo, la perdita della massa muscolare si conta in una riduzione della forza dell'1-2% all'anno e della potenza del 3-4%, mentre il mantenimento dell'equilibrio può essere compromesso anche dal decadimento degli organi di senso, oltre che da altri disturbi come ipotensione, anemia, disidratazione.

Di fronte all'aumento fisiologico della fragilità, è l'attività fisica, costante e senza eccessi, ad essere raccomandata come prima forma di prevenzione. Per i medici ogni attività aerobica è utile allo scopo. Ma ai movimenti coordinati e continui del Tai Chi, la «danza al rallentatore» fra una posizione della Gru e una della Tigre, le ricerche recentemente pubblicate assegnano una preferenza: secondo gli studiosi stimolano la percezione, il bilanciamento del peso e una migliore postura, con vantaggi anche agli apparati respiratorio e cardiovascolare. Uno studio che ha coinvolto ricercatori americani e cinesi, si è concentrato sugli effetti della pratica del Tai Chi sulla salute delle ossa, in particolare nel ridurre la perdita di densità minerale. Sono state esaminate sistematicamente venti ricerche, su un campione totale di 1604 persone: i risultati mostrano significativi benefici del Tai Chi sulla densità minerale in zona lombare, sul collo del femore e sull'anca in anziani, donne in perimenopausa e postmenopausa e persone con artrosi.

SICURI AL BUIO

Un gruppo di scienziati dell'Università di Jaén, in Spagna, analizzando dieci diverse sperimentazioni, ha verificato un «effetto protettivo medio» della pratica del Tai Chi rispetto al rischio di cadere fra le persone anziane.

Il tasso di cadute risulta ridotto del 43%, e quello di cadute con lesioni del 50%, anche se in quest'ultimo caso si riconosce la necessità di ulteriori studi. Un altro gruppo, dalle Università di Shanghai, Shandong e Qingdao, si è concentrato sugli effetti che il Tai Chi può avere sulla stabilità nello scendere le scale con diversi gradi di illuminazione.

Un gruppo di donne anziane che praticano Tai Chi è stato messo a confronto con altre che si dedicano alla camminata veloce e altre che non praticano esercizi: le prime, si è rilevato, quando scendono le scale riducono la velocità orizzontale e aumentano la distanza fra i piedi, movimenti che aumentano la stabilità. Lo stesso gruppo risulta più sensibile alle differenze di illuminazione rispetto agli altri e quando la luce è poca controlla meglio la distribuzione del peso, la tendenza a frenare, l'angolo di inclinazione, ovvero «prendono gli adeguati provvedimenti per la stabilità del corpo durante la discesa».

Ancora un gruppo di ricercatori di Shanghai e Beijing, ha arruolato 84 anziani per mettere a confronto gli effetti della pratica del Tai Chi con quelli della camminata veloce su fitness e funzioni cognitive. Per verificarli è stato usato il cosiddetto «test di Stroop», usato per valutare la velocità di elaborazione degli stimoli e di esecuzione: vengono mostrate parole che indicano dei colori ma sono stampate con un colore diverso rispetto a quello significato, e si chiede di pronunciare il colore con cui è stampata la parola e non quello che la parola indica, inibendo la risposta che verrebbe più automatica.

IN BALERA

Con questa procedura, si sono registrate migliori performance nel gruppo di praticanti Tai Chi, più rapido nella risposta e più preciso nell'evitare l'errore. Stessi risultati con un altro test basato sui numeri. In base ai risultati, per i ricercatori «il Tai Chi giova alle funzioni cognitive degli anziani più di quanto faccia la camminata veloce».

Un gruppo di ricercatori, in Oregon, ha valutato sull'American Journal of Public Health gli impatti delle attività che prevengono le cadute nei centri per anziani sul territorio: hanno preso in considerazione un programma sul Tai Chi adottato in 36 centri in 4 contee dell'Oregon dal 2012 al 2016. Gli istruttori hanno sviluppato il programma con gli ospiti dei centri per 48 settimane e un follow up a sei mesi. Il risultato: la riduzione del 49% delle cadute e un miglioramento delle performance fisiche.

In media, il costo-beneficio è stato calcolato in 917 dollari per caduta prevenuta. A Taiwan invece la locale università, insieme a quella australiana di Brisbane, ha testato gli effetti degli esercizi di Tai Chi su un gruppo di 60 anziani in sedia a rotelle, impegnati per 40 minuti tre volte a settimana per 26 settimane.

Rispetto al gruppo di confronto che ha svolto gli usuali esercizi fisici, i praticanti Tai Chi hanno registrato minore senso di affaticamento e una maggiore sicurezza nello svolgere alcune attività. Non piacciono le discipline orientali? C'è l'alternativa, suggerisce la ricerca scientifica: per stare solidamente piantati per terra c'è anche il ballo. Lo prova un gruppo di ricerca dell'University School of Physical Education di Cracovia, che ne ha testato gli effetti positivi sull'equilibrio e il rischio di cadute su donne over 60.

Scoperta la "droga" dei tumori grazie a una ricerca italiana

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È un'alterazione genetica la causa di molti cancri. A fare la scoperta un team di scienziati della Columbia University guidati da Antonio Iavarone e Anna Lasorella

Scoperta la droga che alimenta i tumori. A scoprire il meccanismo che fornisce una continua ricarica al tumore è stato un gruppo di ricercatori della Columbia University di New York guidato da Antonio Iavarone. Si tratta quidi di un nuovo e importante passo nella cura contro il cancro.

"Abbiamo identificato come funziona un’importante alterazione genetica che causa una consistente percentuale di parecchi cancri, fra cui il glioblastoma, il più aggressivo e letale di quelli al cervello. E grazie a questa scoperta stiamo sperimentando terapie “di precisione” per bloccare lo sviluppo dei tumori", spiega al Corriere Iavarone. "Questa alterazione genica scatena un’attività abnorme dei mitocondri, organelli presenti all’interno della cellula che funzionano come centraline di produzione di energia. L’eccesso di energia alimenta il moltiplicarsi e diffondersi incontrollato delle cellule tumorali".

La scoperta dei ricercatori è stata pubblicata su Nature. Il lavoro del team è iniziato nel 2012 grazie ai primi indizi dell'esisitenza della proteina che, attraverso un mix letale, è capace di scatenare il tumore e di ricaricarlo. In particolare, come spiega sempre Iavarone al Corriere, la causa del glioblastoma sarebbe "la fusione fra i due geni FGFR3 e TACC3".

Ora sarà possibile rivoluzionare la terapia contro il cancro, grazie a una terapia sempre più personalizzata diretta a colpire direttamente il cuore del tumore.

Prima mano bionica impiantata in Italia: restituisce senso tatto

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La donna aveva perso la mano sinistra in un incidente stradale e ha commentato così il successo dell'operazione: "È quasi come se fosse tornata di nuovo"

Si chiama Almerina Mascarello la prima donna italiana a cui è stata impiantata una mano bionica capace di restituirle il senso del tatto. "Abbiamo operato e seguito dal 2009 fino ad ora 5 persone, nel corso della sperimentazione di una mano bionica in grado di restituire il senso del tatto, e Almerina è stata la prima donna, la prima italiana e la prima a indossare l'impianto per sei mesi, anche al di fuori del laboratorio. È andata al ristorante, ha raccolto dei fiori, ha fatto cose normali in situazioni normali", racconta Paolo Maria Rossini, responsabile della Struttura complessa di Neurologia del Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma, che ha seguito la paziente.

La donna aveva perso la mano sinistra in un incidente stradale e ha commentato così il successo dell'operazione: "È quasi come se fosse tornata di nuovo".

Come funziona la mano bionica

La mano protesica ha dei sensori che rilevano informazioni sulla consistenza di un oggetto. Questi messaggi sono inviati a un computer in uno zaino che converte i segnali in un linguaggio che il cervello è in grado di comprendere. L'informazione viene trasmessa al cervello - in questo caso di Almerina - tramite piccoli elettrodi impiantati nei nervi della parte superiore del braccio.


Influenza, il piano del governo: "Vaccini gratis anche ai bimbi"

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"Si sta esplorando l'opportunità", hanno precisato dall'Iss

Spesso si crede sia un semplice malanno di stagione, ma ogni anno sono oltre 8 mila le persone vittime del virus dell'influenza. I più colpiti sono gli anziani per questo motivo il ministero della Salute sta valutando se offrire gratis i vaccini contro l’influenza anche ai bambini da uno a sei anni per impedire che dai nipoti il virus si propaghi ai nonni.

"In alcuni casi, quando la febbre è molto alta, anche i piccoli corrono pericoli, ma come già fanno negli Usa immunizzarli significa impedire poi al virus di propagarsi in casa tra genitori e nonni", ha affermato Gianni Rezza, direttore del Dipartimento di infettivologia dell'Iss.

I costi

Oggi il vaccino antinfluenzale è gratuito per gli ultra 65enni, le donne al secondo e terzo mese di gravidanza, diabetici, malati cronici cardiovascolari e delle vie respiratorie, neurolesi, trapiantati e immunodepressi. Mentre i bambini di tutte le età pagano.

Come riporta La Stampa, i costi potrebbero aggirarsi sui 30 milioni. "Ma i risparmi sarebbero enormi - hanno spiegato gli esperti - perché tra costi diretti e indiretti ogni influenzato costa allo Stato mediamente almeno 500 euro, mentre per chi viene ricoverato la spesa lievita a 1.500 al giorno".

L'Istituto Superiore di Sanità

"L'Organizzazione Mondiale della Sanità e il Centro per il controllo delle malattie europeo hanno introdotto la raccomandazione per la vaccinazione, oltre che nelle categorie di rischio, anche nei bambini sani tra i 6 e i 59 mesi", ha precisato l'Istituto Superiore di Sanità. "Il ministero della Salute insieme all'Iss e alle Regioni sta esplorando l'opportunità, ma al momento attuale non esiste nessun Piano. Inoltre, si sottolinea che l'antinfluenzale è già offerta gratuitamente a tutti i bambini che presentano una condizione di rischio".

Alzheimer e Parkinson, Pfizer rinuncia alla cura

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Il colosso Usa getta la spugna e taglia gli investimenti nello studio di medicine contro Alzheimer e Parkinson: licenziate circa 300 persone

"Scarsi risultati" nel trovare una cura contro le malattia degenerative come l'Alzheimer o il morbo di Parkinson. Anche il colosso farmaceutico Usa Pfizer Inc ha quindi deciso di rinunciare agli investimenti nella ricerca di nuovi farmaci per il trattamento di queste patologie, proprio come aveva fatto qualche tempo fa Merck.

La società, tra l'altro, ha annunciato che licenzierà 300 persone nel settore delle neuroscienze an Andover e Cambridge, Massachusetts, e a Groton, in Connecticut, riallocando i fondi ad altri programmi di ricerca. La casa farmaceutica ha comunque assicurato che continuerà ad investire fondi nella ricerca dei palliativi per il dolore e contro le malattie neuroplogiche.

"No alla resa, la risposta è la ricerca pubblica"

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Il genetista: "Ben venga l'industria privata, ma i grandi studi devono essere statali"

«Ho sentito, ho sentito» dice Edoardo Boncinelli, genetista celebre e autore di numerosi saggi scientifici, a proposito della decisione della Pfizer di rinunciare alla ricerca sui farmaci contro l'Alzheimer.

E che cosa ha pensato?

«La cosa è un pochino preoccupante, non tanto perché potessimo sperare di ottenere grandi risultati, perché i risultati non si hanno a comando, non si hanno all'improvviso, e nemmeno perché si hanno tanti soldi da investire, che sono necessari, ma non sufficienti...».

E perché è preoccupante?

«È un sintomo di una certa mancanza di fiducia, di una certa depressione e di una certa percezione di fatto che il mercato non sia sensibile a determinati richiami».

È un danno?

«Non immediato. Ma è un segnale che una parte dell'umanità abbia perso la fiducia di avere il tempo di occuparsi di cose così importanti come le malattie neurologiche, sempre più frequenti, perché la vita si è allungata e queste malattie sono caratteristiche dell'età avanzata».

Una sfiducia da parte di chi? Degli scienziati?

«No, credo che sia più un problema economico. La Pfizer non è l'unica a fare ricerca. Ma se la cosa si ripete... Ci stiamo tarpando le ali, perché il futuro ci vedrà sempre più vecchi e sempre più malati. Tutto questo deve però servire come spinta a fare ricerca di base finanziata dallo Stato».

In che senso?

«Sia chiaro, e in Italia ripetiamolo fino alla noia: ben vengano le ricerche dell'industria privata. Ma queste sono basate sul profitto, e liberissime di non fare più una ricerca, se non ne dà. La grande ricerca deve essere di base, e statale».

Perché?

«Perché è quasi certo che qualcosa otterrà».

Questa è un po' una resa?

«Eh sì, un profumo di resa ce l'ha. I momenti non sono buoni, a tutti i livelli manca la speranza di avere tempo per fare le cose. E la ricerca non può essere fatta, come si dice a Napoli, friggendo e mangiando: se mancano soldi e tempo, non si può fare. E poi c'è un altro aspetto: non basta fare ricerca».

Che cosa significa?

«La ricerca non è detto che riesca: è un viaggio cieco in un mondo sconosciuto. E a volte non dà risultati. Non c'è la sicurezza di ottenere qualcosa, e per me l'Alzheimer è una delle malattie più complicate che esistano. Nessuno sa se, e quando, si troverà una soluzione a questa malattia».

Gli Stati fanno ricerca di base?

«Tutti. Ma se fosse facile... Certo domani potrebbe aprirsi una nuova frontiera, ma al momento c'è uno stallo con malattie particolarmente fetenti».

La sfida della ricerca non è proprio quella, però?

«Sì, però la bacchetta magica ce l'ha solo Harry Potter. Noi dobbiamo essere umili».

Non è ottimista?

«Sono molto ottimista, però non sono scemo: dobbiamo insistere, sperare, ma anche serrare le fila, lavorare sempre più duramente, fare ricerca di base; e poi all'improvviso - spero - verrà la soluzione».

Ma le malattie come Alzheimer e Parkinson sono le grandi questioni con cui la scienza si deve confrontare?

«Assolutamente. Sempre, e soprattutto oggi. E lo deve fare innanzitutto la ricerca di Stato».

La Pfizer alza bandiera bianca: vincono Alzheimer e Parkinson

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Il colosso farmaceutico Usa interrompe le sperimentazioni: "Scarsi risultati, investimenti altrove". Licenziati in 300

La multinazionale farmaceutica statunitense «Pfizer» getta la spugna e annuncia l’interruzione della ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci nel settore neuroscienze, inclusi gli studi per terapie contro l’Alzheimer e il Parkinson. Troppo scarsi i risultati, troppo caro il prezzo da pagare per gli studi. La casa farmaceutica punterà su investimenti in aree in cui ha già raggiunto una forte leadership scientifica e il massimo impatto sui pazienti.

Un annuncio, quello pubblicato dal Wall Street Journal, che getta nel panico le associazioni dei pazienti. Ma se alcuni tra i più importanti ricercatori statunitensi si arrendono, nel resto del mondo continuano incessanti le ricerche. E l’Italia è al top tra i Paesi dell’Ue. La decisione della Pfizer prevede, tra l’altro, il licenziamento di trecento ricercatori a Cambridge e Andover (nel Massachusetts) e a Groton (Connecticut).

La casa farmaceutica fa comunque sapere che si impegnerà a sviluppare farmaci in fase avanzata per il trattamento del dolore come il pregabalin o il tanezumab e per il trattamento di malattie neurologiche rare. Prevede, inoltre, di utilizzare i risparmi ottenuti per finanziare la ricerca e lo sviluppo di farmaci in altre aree «in cui la pipeline e l’esperienza scientifica sono più forti. E per creare un fondo di venture capital aziendale per investire in promettenti progetti di neuroscienza al di fuori dell’azienda».

E così, almeno negli Stati Uniti, gli sforzi per trovare un «antidoto» alla demenza che colpisce decine di milioni di persone nel mondo sono stati vani, oltre che costosi. Ora la speranza è riposta in altre case farmaceutiche americane. A partire da due recenti studi su una pillola studiata da «Eli Lilly» e «AstraZeneca» i cui risultati dovrebbero essere resi noti entro la fine di quest’anno. Nel 2019 sarà invece pubblicata la sperimentazione di un altro farmaco da parte della «Biogen». Infine gli esiti della ricerca su un farmaco sperimentale della Johnson&Johnson e Shionogi sono previsti solo nel 2023.

Si tratta in tutti i casi di farmaci che bloccano l’enzima di conversione beta-amiloide. La ricerca indica, infatti, che la malattia è strettamente associata a placche amiloidi e ammassi neurofibrillari riscontrati nel cervello, ma non è nota la causa della degenerazione. Attualmente i trattamenti terapeutici utilizzati offrono leggeri benefici sintomatici e possono rallentare in maniera parziale il decorso della patologia. Nonostante le centinaia di studi clinici non sono ancora stati identificati trattamenti che arrestino o invertano il decorso dell’Alzheimer.

L’Alzheimer è una patologia progressiva neurodegenerativa, caratterizzata da un declino cognitivo e fisico irreversibile e da comportamenti anomali. Rappresenta oggi il tra il 50 e l’80 per cento delle forme di demenza e la sua incidenza aumenta parallelamente alla crescita dell’età media della popolazione. Sebbene possa manifestarsi in persone giovani, la malattia colpisce in genere persone tra i 70 e gli 80 anni con un’incidenza che aumenta con l’età. Questa patologia è stata descritta nel 1907 dal dottor Alois Alzheimer. Le persone affette da questo morbo soffrono principalmente di alterazioni della memoria e dell’orientamento, limitazioni della concentrazione, della capacità di organizzazione e di giudizio, cambiamenti della personalità, della parola e della deambulazione.

Anche il «Morbo di Parkinson» (i cui sintomi sono noti da migliaia di anni) è una malattia neurodegenerativa, ma ha un’evoluzione lenta e progressiva che mina il movimento e l’equilibrio. La malattia fa parte di un gruppo di patologie definite «Disordini del Movimento» e tra queste è sicuramente la più frequente.

Quei bambini sempre distratti «E se fosse colpa della nostra scuola?»

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Il pedagogista Novara: «Solo in Italia consideriamo la dislessia una malattia»

Maria Sorbi

I bambini che un tempo venivano semplicemente definiti un po' turbolenti, i «terremoti della classe», quelli con l'argento vivo addosso, oggi vengono inscatolati nella categoria degli alunni con disturbi dell'attenzione, problemi di dislessia, disgrafia, discalculia e chi più ne ha più ne metta. E quando la diagnosi viene formulata, se la portano dietro, come un'etichetta indelebile, durante tutto il loro percorso scolastico. Proprio così, diagnosi. Perché, mentre in tutta Europa i disturbi specifici dell'apprendimento non sono una malattia, in Italia sì, tanto che spetta al neuropsichiatra (e non allo psicologo) pronunciarsi sull'argomento. A quanto pare i bambini «malati» di disattenzione sono in continuo aumento.

LE STATISTICHE

L'Istat calcola che solo nel 2015 tra gli alunni della materna e della scuola secondaria, ben 233.477 allievi hanno difficoltà di apprendimento e l'associazione italiana della dislessia rileva 350mila bambini con problemi del linguaggio. Secondo l'organizzazione internazionale che conduce e condivide le ricerche scientifiche sulle difficoltà dell'apprendimento, solo il 2,5% della popolazione scolastica mondiale dovrebbe incontrare problemi nella cognizione numerica e solo l'1% sarebbe effettivamente soggetto a discalculia evolutiva. Ma i conti non tornano: i dati italiani parlano di circa un 20-30% di bambini con difficoltà significative nel calcolo, tanto da essere avviati in un percorso diagnostico e inseriti in un «protocollo educativo». Ovviamente non tutti questi bambini hanno un reale problema neurologico. Stupito da queste percentuali, il pedagogista Daniele Novara, fondatore del Centro psicopedagogico per l'educazione e la gestione dei conflitti, nel suo ultimo libro intitolato «Non è colpa dei bambini», azzarda un'ipotesi: «E se ad essere malato fosse il nostro sistema educativo e scolastico?».

L'esperto di infanzia, considerando che in ogni classe c'è almeno un ragazzo che soffre di problemi di apprendimento, considera: «Stiamo sostituendo la psichiatria all'educazione. In una scuola e in una società che stanno rinunciando a educare le nuove generazioni, è diventato perversamente più semplice definire malato un bambino che non riusciamo a educare. Va invece recuperata la missione primaria delle famiglie e dei docenti». Secondo il pedagogista Novara la scuola italiana punta a «livellare» tutti gli alunni sugli stessi standard (i voti) senza preoccuparsi e senza essere in grado di valutare i progressi del singolo alunno. «Accade che un insieme di test - sostiene - non riesca a distinguere pienamente se il deficit riscontrato sia da attribuire a un disturbo neurologico o a un insieme di difficoltà che spesso possono essere risolte. Quindi si finisce per certificare come Dsa anche chi non lo è davvero».

Tutti i pedagogisti sono d'accordo nel dire che, innanzitutto, un bambino con disturbi di dislessia e affini, vada aiutato in famiglia: ad esempio impedendogli di passare troppo tempo da solo davanti a tv, Ipad e videogiochi. Oppure proponendogli giochi che lo aiutino a lavorare sulla lettura e soprattutto gli facciamo capire quanto sia importante prendersi il tempo necessario per scrivere una parola o leggere una pagina di un libro, a cominciare da quelli agevolati fatti apposta.

La calma è la miglior cura, prima ancora di una certificazione e di un protocollo che condanni a un percorso obbligato «a vita». Poi, ma solo dopo, si può ricorrere a una consulenza di un logopedista, cioè di un professionista sanitario che aiuti a rieducare la voce, il linguaggio scritto e orale e la comunicazione. In questo modo il bambino (o l'adolescente) potrà tornare ad essere autonomo nella lettura.

I SOFTWARE DI LETTURA

Per il recupero delle abilità di lettura, sono sempre più utilizzate le procedure informatizzate che consentono di ridurre il numero di errori di almeno il 50%. Nella velocità di lettura si è riscontrato un miglioramento in pochi mesi pari a quello atteso per evoluzione naturale in un anno. L'uso di software specifici permette di affrontare più serenamente le richieste scolastiche e di riabilitare, divertendosi, tutte le competenze.

Sul mercato si possono trovare svariati programmi per automatizzare il processo di lettura per quanto riguarda le abilità strumentali (correttezza e rapidità) oppure programmi che permettono di migliorare gli aspetti meta cognitivi per comprendere al meglio un testo scritto. Esistono poi software che fungono da strumenti compensativi sempre più sofisticati: l'editor di testi, una tipologia di software che consente di scrivere dei testi e può essere usato in abbinamento o in sostituzione al tradizionale quaderno. E ancora la sintesi vocale, che trasforma in audio il testo digitale, importato o scritto, il traduttore automatico, programma in grado di tradurre testi in diverse lingue. I libri digitali, che sono libri scolastici forniti dalle case editrici direttamente in formato digitale.

La conferma della scienza: l'alcol provoca il tumore

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Il consumo di bevande alcoliche è in grado di determinare diversi tipi di patologie tumorali. Elevato il rischio per i giovani

Gli alcolici possono provocare il tumore. Lo hanno confermato "due importanti pubblicazioni scientifiche". Gianni Testino, primario di Alcologia all'ospedale San Martino di Genova e presidente nazionale della Società italiana di Alcologia, ha rinnovato così l'appello a non bere ai ragazzi.

"Dobbiamo salvaguardare la salute dei giovani. Non devono consumare alcolici. Non a caso per legge i minori non possono bere alcolici. Il concetto da ribadire è: meno alcol si beve e meno si rischia di sviluppare il cancro, specialmente nei ragazzi, e siccome da giovani ciò non si comprende, devono essere gli adulti a educarli", ha affermato Testino.

L'alcol

Bere alcol danneggia le cellule staminali del sangue alterando il loro DNA e aumentando così il rischio di sviluppare il tumore. Lo ha confermato uno studio scientifico realizzato dai ricercatori del MRC Laboratory of Molecular Biology di Cambridge e pubblicato su Nature. Inoltre, "Sul Journal of Clinical of Oncology, l'Associazione Usa degli Oncologi clinici dichiara che etanolo e acetaldeide, contenuti in qualsiasi tipo di bevande alcolica, favoriscono l'insorgenza di tumori anche attraverso un consumo lieve-moderato in cavità orale, faringe, laringe, esofago e soprattutto mammella femminile", ha dichiarato Testino.

Consigli per gli adulti

Ma i consigli riguardano anche agli adulti: "Gli uomini non devono bere più di quattro unità alcoliche alla settimana, che siano aperitivi, bicchieri di vino o birre medie. Per le donne il quantitativo si dimezza. Per i giovani sotto i 25 anni il rischio esiste per qualsiasi dosaggio di alcol", ha concluso il primario.

Ecco perché soffocare uno starnuto può essere pericoloso

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Un 34enne ha subìto la rottura dei tessuti molli della gola. La causa? Uno starnuto soffocato

Soffocare uno starnuto stringendo il naso e chiudendo la bocca può causare danni molto gravi. Proprio come è successo a un 34enne che ha subìto la rottura dei tessuti molli della gola mentre cercava di fermare uno starnuto molto forte.

A documentare il caso è stato un gruppo di medici dello University Hospital of Leicester, nel Regno Unito, in uno studio pubblicato sulla rivista BMJ Case Reports. Sebbene si è trattato di un caso raro e inusuale, secondo i medici è importante che le persone siano consapevoli del pericolo.

Dopo aver soffocato lo starnuto, infatti, l'uomo ha sentito come "un'esplosione" nel collo e ha iniziato ad avere dolore nel deglutire e parlare. Quando i medici lo hanno visitato hanno osservato che le aree intorno alla gola e al collo erano gonfie e indolenzite. Una radiografia ha poi mostrato l’aria che fuoriusciva dalla trachea nel tessuto molle del collo attraverso un foro creato dalla pressione sfogata verso l'inerno. L’uomo è stato costretto a nutrirsi tramite un tubo per i successivi sette giorni, il tempo necessario per far guarire i tessuti.

"Fermare uno starnuto bloccando le narici e la bocca è una manovra pericolosa e dovrebbe essere evitata", hanno detto gli specialisti britannici. L'importante è assicurarsi di coprire il naso con un fazzoletto per evitare di diffondere malattie.


Ecco cosa fare se viene la sindrome del cantante lirico

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Giovanna Baracca, audiologo e foniatra collabora col servizio di guardia medica del Teatro alla Scala. «I cantanti lirici hanno uno stile di vita sanissimo, ancor più degli sportivi. Stanno molto attenti alle ore di sonno, all'ambiente in cui si trovano - spiega - e se devono spostarsi da un ambiente all'altro con sbalzi di temperatura la sciarpa al collo non manca mai. E hanno sempre con loro una bottiglietta di acqua. Chi canta sa che bisogna evitare il raclage, schiarirsi la voce raschiando la gola. Non si fa. Quando ne hanno necessità bevono un sorso d'acqua». Suggerimenti utili anche per chi non ha l'ugola d'oro, perchè le patologie della voce «sono in aumento ed è cresciuto anche il livello di attenzione per questi problemi: fra talent show e la tendenza ad appassionarsi al canto, la visita foniatrica sta diventando un evento non eccezionale come un tempo, quando vi ricorrevano solo i cantanti lirici. Oggi visitiamo tante persone che svolgono professioni non artistiche».

Esempi insospettabili? «I parrucchieri, perchè parlano molto con le clienti con il fon acceso, un rumore molto alto di sottofondo». Oppure «le mamme che hanno bambini piccoli: donne con un lavoro normale ma che alzano spesso la voce con i figli e sperimentano la disfonia a 40 anni».

Il consiglio è di rivolgersi allo specialista «quando l'alterazione della voce si prolunga oltre le due settimane. Sulla base dell'esame delle corde vocali e della diagnosi si decide il percorso da seguire: per i casi acuti, legati a un raffreddamento o a uno sforzo vocale eccessivo, l'intervento è pressochè farmacologico. Se invece la disfonia è l'esito di un abuso vocale o dovuta a noduli, polipi o formazioni benigne sul tessuto cordale, si passa alla terapia riabilitativa e si va dal logopedista per imparare a parlare in economia. Con un corretto assetto muscolare e una corretta presa del fiato si può sopportare lo sforzo vocale senza farsi male».

La chirurgia «è per i casi più estremi, cisti refrattarie al trattamento logopedico o noduli particolarmente voluminosi», per il resto si punta sulla prevenzione: «Evitare di urlare e di parlare velocemente: non serve, né alla persona che sta parlando, perchè si affatica molto, né a chi ascolta, perchè la comprensione verbale è legata al numero di parole percepite al minuto». Per quanto riguarda l'alimentazione «valgono le norme anti reflusso gastrico. La risalita dell'acido dallo stomaco può arrivare fino alla laringe, causando una situazione di irritazione cronica: si avverte come incremento della raucedine, fatica, e la tipica tosse secca. Quindi, evitare alimenti gassati, cioccolato, caffè a digiuno, non andare a dormire subito dopo mangiato, seguire una dieta leggera».

MAg

L'acqua aiuta la voce

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Per chi soffre di problemi alle corde vocali è una vera medicina: ne servono almeno 8 bicchieri al giorno Prof e istruttori i lavoratori a rischio

Mara Agostoni

Non urlare, bevi. Sbraitare non è solo un problema di maleducazione, ma di salute delle corde vocali. E idratarsi con almeno otto bicchieri di acqua al giorno, dice la scienza, è il primo presidio per avere una voce argentina e allontanare raucedine, afonia o danni più seri all'organo della fonazione. I due lembi di tessuto muscolare nella laringe che ci permettono di parlare sono sempre più messi a dura prova da inquinamento ambientale e acustico. Da fumo, alcol, stress. Dal moltiplicarsi delle occasioni in cui si alza la voce oppure ci si cimenta in perfomance canterine, fra karaoke o personali X Factor, senza la tecnica dei professionisti. Per tutti, ci sono nuove evidenze scientifiche che indicano come prendersi cura della propria voce e non comprometterla.

VIBRAZIONI IN CATTEDRA

Un meccanismo complesso, quello che porta i suoni a uscire dalla nostra bocca. Coinvolge tessuto muscolare e mucosa, una cassa armonica di risonanza e il flusso d'aria espirato. Circa 200 cicli vibratori al secondo, il normale movimento delle corde vocali nelle donne. Si dimezzano a cento negli uomini. Si scende sotto le 70 vibrazioni al secondo per le note più gravi di un basso, si sale sopra le mille per quelle acute di un soprano. Ogni sforzo eccessivo e prolungato, se non controllato e curato, può portare a disfonia, una alterazione della voce più o meno grave, che può essere temporanea, diventare uno stato irritativo cronico o trasformarsi in patologie organiche come polipi, noduli, cisti.

Secondo i dati contenuti nelle linee guida della Società scientifica logopedisti italiani, la disfonia o raucedine colpisce almeno una volta nella vita circa un terzo della popolazione, le donne più frequentemente degli uomini, con percentuali più elevate in alcune categorie professionali, come istruttori sportivi (44%) e insegnanti (58%). Fra chi siede in cattedra, si stima che uno su cinque abbia perso uno o più giorni di lavoro a causa di un problema alla voce. A differenza però di altri professionisti, come attori e cantanti, più abituati a rivolgersi al foniatra, meno del 15% dei docenti ha consultato un medico per curarsi.

A TUTTO VAPORE

Dagli operatori di call center agli avvocati, dai venditori agli addetti agli sportelli, non è solo chi usa le corde vocali per lavoro a strapazzarle, come rilevano i foniatri: accade se si insiste a parlare in ambienti rumorosi, se si sta a lungo al telefono nel traffico cittadino o in treno, se per lo stress si alza spesso la voce, se si discorre anche in palestra mentre si sta usando il fiato per l'attività fisica. Per chiacchieroni e urlatori incontrollabili, gli specialisti hanno elaborato suggerimenti di igiene vocale per prevenire l'insorgenza di patologie, messi a punto da recenti ricerche sulla loro validità.

E' un gruppo di ricercatori dell'Università di Pretoria in Sudafrica ad aver pubblicato lo scorso novembre su Journal of Voice una revisione sistematica degli articoli scientifici degli ultimi dieci anni riguardo agli effetti dell'idratazione sulla qualità della voce negli adulti. Il risultato: l'acqua «è la più semplice e meno costosa soluzione per migliorare la qualità della voce», come verificato da misurazioni su parametri acustici.

Effetti positivi si confermano, secondo lo studio, anche dall'inalazione di vapore e dalla nebulizzazione di soluzioni isotoniche. Lo conferma una ricerca dell'Università di Bahia, in Brasile, su un gruppo di insegnanti: voce in perfetta forma con una soluzione salina nebulizzata per 5 minuti prima di entrare in classe.

Ancora a Pretoria, gli studiosi hanno testato gli effetti dell'acqua sulle qualità vocali di un gruppo di giovani studentesse di canto: rispetto alle colleghe meno idratate, mostrano una capacità di tenere le note più a lungo e di raggiungere più alte frequenze. Ricercatori dell'Università di Hong Kong hanno invece studiato le performance di 20 giovani cantanti amatoriali alle prese con il karaoke: con dell'acqua e brevi pause durante l'esibizione hanno cantato più a lungo e senza significativi cambiamenti nella voce sulle note alte.

Il consiglio dell'Aao-Hnsf, l'American Academy of Otolaryngology, è di bere almeno otto bicchieri al giorno: fra 1,5 e 2 litri, per tenere lubrificate le corde vocali. Non basta. Occorre evitare troppi caffè, tè o bevande contenenti caffeina, che favoriscono la disidratazione. E poi mantenere un certo grado di umidità nei luoghi in cui si vive e lavora: gli specialisti consigliano un tasso del 40%. In ogni caso l'aria troppo secca è dannosa per l'ugola.

ATTENZIONE AGLI ECCESSI

Nel bicchiere versare acqua, non alcol, raccomandano i medici. E lo conferma una ricerca della Nambu University in Sud Corea, su un campione di 3.141 cittadini adulti: chi beve più di quattro volte alla settimana ha un rischio maggiore di disturbi alla laringe rispetto a chi beve meno di una volta la settimana, a prescindere dalla quantità di alcol consumato. Stop anche al fumo: oltre ad essere un potente fattore di rischio per il cancro alla laringe, causa infiammazioni e polipi alle corde vocali. Sempre in Corea del Sud si è studiata la relazione fra i problemi alla laringe e il fumo su 1849 donne che si sono sottoposte a questionari, test e laringoscopia: per le fumatrici si è registrato un rischio 2,1 volte più alto di disturbi alla laringe.

Sono diverse le raccomandazioni dei foniatri per un uso parsimonioso della voce: non parlare troppo in fretta, fare pause per riprendere fiato, supportare la voce con una buona respirazione, riscaldarla prima di un lungo discorso. E' semplice, suggerisce sempre l'Aao-Hnsf: basta ad esempio «scivolare delicatamente da note basse ad alte su diverse tonalità, facendo dei vocalizzi con le labbra, come fanno i bambini quando imitano il suono di un motore». Le sane abitudini di vita consigliate per tenere in forma le corde vocali comprendono anche un adeguato numero di ore di riposo. Gli eccessi vanno evitati anche in questo caso. Ricercatori di Seul e californiani hanno condotto insieme uno studio epidemiologico su circa 18mila adulti, pubblicato su Plos One, sulla relazione fra la durata del sonno e la disfonia. Chi dorme più di 9 ore o meno di 5 hanno maggiori probabilità di andare incontro a problemi di disfonia.

Allarme lavastoviglie: un ricettacolo di batteri

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Pur restituendo piatti e stoviglie puliti e splendenti, le lavastoviglie contengono batteri e funghi, anche potenzialmente mortali

Un nuovo studio, condotto dalle Università di Lubiana e Copenhaghen, lancia un allarme sulle lavastoviglie, che pur restituendo piatti e stoviglie puliti contengono al loro interno batteri e agenti patogeni, legati a diverse infezioni anche potenzialmente mortali.

Dopo aver condotto un test approfondito su un campione di lavastoviglie europee, i ricercatori hanno scoperto come la quasi totalità degli elettrodomestici contenga batteri legati a infezioni del tratto urinario, della pelle, intossicazioni alimentari, infezioni cardiache e funghi legati al mughetto.

Tra i batteri rilevati si trova l'Escherichia, che copre ceppi come l'E. Coli, capace di causare un avvelenamento alimentare potenzialmente mortale; seguono lo Pseudomonas, l'Acinetobacter e alcuni funghi come candida, criptococco e rodotorula.

L'età della lavastoviglie, la frequenza di utilizzo e la durezza dell'acqua utilizzata dall'elettrodomestico hanno avuto un impatto significativo sulla composizione batterica e fungina, rappresentando dunque i fattori da tenere d'occhio per prevenirne la comparsa. Il ricettacolo di batteri e funghi sarebbe soprattutto il sigillo in gomma, un ambiente caldo e umido che aiuta il proliferare di tali microrganismi. La fonte dei batteri non è chiara, ma si ipotizza che la principale via di ingresso nell'elettrodomestico sia il cibo contaminato.

Per tale motivo, i ricercatori consigliano di evitare di aprire la lavastoviglie prima che si sia completamente raffreddata, così da non permettere ai batteri di diffondersi nell'appartamento tramite il vapore. Inoltre, pulire accuratamente la guarnizione in gomma con un panno asciutto dopo ogni ciclo di lavaggio aiuterà a ridurre la presenza di tali agenti patogeni.

Influenza, picco raggiunto: quasi 4 milioni di italiani a letto

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Quest’anno la malattia è stata così aggressiva per colpa di un nuovo ceppo virale, lo Yamagata, che ha sorpreso gli esperti rivelandosi più virulento del previsto

L'influenza ha raggiunto il suo picco e registra ora una lieve flessione della curva epidemica. Nell'ultima settimana si contano 832mila nuovi casi, che hanno così fatto salire a 3 milioni 883mila il numero degli italiani messi ko da febbre alta e dolori articolari. Secondo gli ultimi dati, sempre meno persone si stanno ora ammalando, ma il livello di incidenza è ancora "Molto Alto", si legge nella nota dell'Istituto superiore di sanità, ed è pari a 13,73 casi per mille assistiti.

In tutte le Regioni italiane il livello di incidenza è pari o superiore a dieci casi per mille assistiti tranne in Friuli Venezia Giulia, Veneto e Bolzano. Anche gli ultimi dati confermano quello che già è chiaro da diverse settimane: quest’anno è stata un’influenza record. Il fatto che quest’anno la malattia sia stata così aggressiva è principalmente colpa di un nuovo ceppo virale, lo Yamagata, che ha sorpreso gli esperti rivelandosi più virulento del previsto.

Il virologo

Fabrizio Pregliasco, virologo all’università di Milano, ha spiegato che lo Yamagata era contenuto solo nel vaccino quadrivalente, non nel trivalente. "Ma il problema principale, come sempre non è il vaccino, che fanno in linea di massima solo gli anziani o i soggetti a rischio, ma il boom tra i bambini, il cui sistema immunitario non era preparato a questa variante". In ogni caso, ha precisato il virologo,"l'incidenza è alta, ma non vuol dire che questa influenza, come si sente dire, sia più aggressiva a livello di sintomi. I sintomi sono sempre quelli: febbre alta abbastanza repentina, dolori articolari, problemi respiratori, il tutto per qualche giorno".

Ora però il peggio sembra essere passato. "I bambini sono gli 'untori' e adesso stiamo registrando un calo da due settimane. Il che significa che i diffusori del virus si stanno ammalando sempre meno, ora a cascata caleranno anche le altre fasce d'età".

Un test del sangue per la diagnosi precoce di otto tumori

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Il nuovo test combina l'analisi del Dna e delle proteine tumorali. È stato messo a punto dalla John Hopkins University di Baltimora

Un test del sangue capace di rilevare otto tipi diversi di cancro, quelli tra i più comuni, molto prima che insorgano i sintomi. Lo ha sviluppato un gruppo di ricercatori della John Hopkins University di Baltimora in uno studio pubblicato sulla rivista Science.

Il nuovo test combina l'analisi del Dna e delle proteine tumorali e ha un'affidabilità che varia dal 69 al 98% dei casi a seconda del tipo di cancro. Il metodo, testato su oltre mille malati, è stato chiamato CancerSEEK e ha dato un risultato positivo in circa il 70% delle volte.

Il test

Il gruppo guidato da Joshua Cohen è riuscito a valutare le mutazioni di 16 geni tumorali, insieme ai livelli di 10 proteine circolanti nel sangue, per il cancro del seno, fegato, ovaie, polmone, stomaco, pancreas, esofago e colon retto. In futuro, questo test potrebbe essere utilizzato in programmi di screening con lo scopo di riuscire a intervenire precocemente con i trattamenti, precisamente un anno prima che il cancro sia visibile agli attuali strumenti diagnostici, aumentando in questo modo le probabilità di sopravvivenza dei pazienti.

Il test attuale non identifica tutti i tumori, ma ne rileva molti che altrimenti non verrebbero scoperti. "Molti dei più promettenti trattamenti contro il cancro che abbiamo oggi avvantaggiano solo una piccola minoranza di malati di cancro e li consideriamo importanti progressi", ha detto Bert Vogelstein, professore di oncologia alla Johns Hopkins. "Se stiamo facendo progressi nella diagnosi precoce del cancro, dobbiamo cominciare a guardarli in un modo più realistico, riconoscendo che nessun test rileverà tutti i tumori", ha aggiunto.

Il costo

Secondo i ricercatori il costo di questo esame del sangue per 8 tumori potrebbe essere di circa 400 euro, più o meno quanto costano i singoli test di screening attualmente in uso.

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