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Mangiare grilli farebbe bene al nostro intestino

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Almeno secondo uno studio americano condotto su 20 soggetti

Mangiare grilli farebbe bene all’intestino. Sarebbe questo il risultato emerso da uno studio condotto dalla Colorado State University. Questi insetti sarebbero infatti ottimi per bilanciare la nostra flora intestinale, in quanto ricchi di vitamine, proteine, minerali e grassi naturali.

La dottoressa Tiffany Weir, che ha condotto il recente studio, afferma che l’occidente dovrebbe prendere esempio dall’oriente, dove è normale e regola abituale cibarsi di questi insetti. “La nostra ricerca è importante perché gli insetti rappresentano una nuova componente nelle alimentazioni del mondo occidentale, e i loro effetti sulla salute dell’uomo non sono ancora stati documentati”, ha spiegato l’esperta.

"Per ciò che sappiamo del microbiota umano e della sua relazione con la salute nel nostro organismo, pensiamo sia importante esplorare la possibile influenza di un nuovo cibo sulla flora intestinale. Siamo convinti che il consumo di grilli potrebbe essere benefico a livello nutrizionale”.

L’esperimento è stato condotto su 20 soggetti in salute, donne e uomini con età compresa tra i 18 e i 48 anni. A 10 individui è stata somministrata per due settimane una colazione composta da un muffin arricchito da 25 grammi di polvere di grilli. Al termine del trattamento esame ematico per tutti i partecipanti.

Nonostante i livelli di infiammazione non siano particolarmente cambiati, gli scienziati hanno notato un maggior numero di batteri buoni nella flora intestinale dei soggetti che hanno fatto colazione con i simpatici insetti. Come il bifidobatterio, nome scientifico Bifidobacterium, della categoria Gram-positiva.

In effetti, come ricorda Valery Stull della University of Wisconsin-Madison Nelson Institute for Environmental Studies Il cibo è molto legato alla cultura di ognuno di noi, e per esempio 20 o 30 anni fa nessuno negli USA avrebbe pensato di mangiare sushi, perché lo trovava disgustoso. Ora invece si può ordinare anche dal benzinaio in Nebraska!”.

Ci vorrà forse ancora un po’ di tempo perché in Italia si entri nell’idea di spalmare sul pane, al posto di burro e marmellata, una crema di grilli e insetti simili.


Cura della calvizie: nell’80% dei pazienti i capelli ricrescono

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La scoperta è tutta italiana

Calvizie e cura forse trovata. La perdita di capelli potrebbe restare solo un brutto ricordo. I ricercatori dell’Istituto dermopatico dell’Immacolata, Idi, Irccs di Roma, hanno studiato una nuova terapia biologica e cellulare che si baserebbe sull’infiltrazione di derivati del sangue. Nell’80% dei pazienti con alopecia androgenetica, i capelli sarebbero ricresciuti.

Lo studio è stato reso noto dalla rivista americana Dermatologic surgery, che approfondisce e descrive l’argomento., descrivendo la tecnica usata. Le piastrine in particolar modo avrebbero un ruolo fondamentale, insieme ad altre proteine presenti anch’esse nel sangue, e concentrate attraverso un emoconcentratore pensato e realizzato da un’azienda italiana.

L’emoderivato, chiamato PRF, sarebbe quindi plasma arricchito di concentrazioni maggiori di piastrine, globuli bianchi e fibrina.

Lo studio è stato condotto su 168 persone, tra cui 102 uomini e 66 donne, con problemi di alopecia androgena e la sperimentazione è durata tre anni. Gli uomini avevano un’età media di ventotto anni, mentre le donne di trentasei.

Durante lo stesso periodo di tempo è stato studiato anche un altro gruppo, i cui soggetti non sono stati sottoposti ad alcun trattamento. Questi ultimi hanno manifestato un peggioramento della patologia.

Ha spiegato Giovanni Schiavone, autore dello studio e responsabile dell’Unità di Medicina rigenerativa dell’Idi di Roma, che questo metodo potrebbe essere usato anche in pazienti la cui perdita di capelli, è dovuta a i cicli di chemioterapia.

Altri autori della ricerca sono stati Damiano Abeni, responsabile dell'Unità di Epidemiologia dell'Idi, Francesco Ricci, dell'Unità operativa del melanoma Idi, e il dermatologo e ricercatore Andrea Paradisi.

La tecnica sarebbe la seguente: prelievo di sangue, separazione attraverso l’emoconcentratore del plasma ricco di piastrine, fibrina e globuli bianchi, e iniettato poi nella zona priva ormai di capelli.

La terapia non avrebbe effetti collaterali e può essere ripetuta senza particolari problemi. Solo alcuni soggetti hanno manifestato gonfiore e bruciore, risoltosi entro 72 ore in modo del tutto spontaneo.

Il successo di questa nuova tecnica è stato osservato anche in pazienti con una forma severa di alopecia.

Per il momento questo innovativo trattamento è disponibile solo presso l’Unità di medicina rigenerativa dell’Idi di Roma, dopo una visita dermatologica.

Dieta uguale ma l’uomo dimagrisce più velocemente

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Lo afferma uno studio condotto su 2,224 soggetti

Dieta uguale ma lui dimagrisce più velocemente di noi. Non è un’impressione, e a confermarlo è uno studio condotto su 2,224 soggetti e pubblicato sulla rivista Diabetes, Obesity and Metabolism.

Tutti gli adulti presi in considerazione erano in sovrappeso e a rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, infatti i livelli di zucchero nel sangue erano leggermente sopra la norma.

La dieta ipocalorica della durata di otto settimane, a cui sono stati sottoposti, consisteva nell’assunzione di zuppe, frullati, pomodori, cetrioli e lattuga.

Alla fine, il 35% dei pazienti presentava livelli di glicemia normali e non rischiava più il diabete. A differenza delle donne, gli uomini avevano ridotto la frequenza cardiaca, perso più peso e massa grassa.

Oltre a non aver raggiunto i traguardi positivi maschili, le donne hanno avuto anche degli effetti indesiderati, quali la perdita di massa magra (i muscoli) e della densità minerale ossea, nonché l’abbassamento del colesterolo ritenuto buono, l’HDL.

La risposta starebbe nel metabolismo differente tra i due sessi. Gli uomini avrebbero maggior grasso viscerale, che circonda gli organi interni. Durante la dieta questo grasso verrebbe perso, con beneficio sul metabolismo e conseguente perdita di calorie.

Il grasso femminile sarebbe più sottocutaneo, come può essere il rivestimento di cosce e fianchi. Ottimo in caso di gravidanza ma non ideale per bruciare calorie in eccesso.

Lo studio condotto avrebbe qualche pecca, secondo l’opinione di Elizabeth Lowden, endocrinologa e specializzata in chirurgia dell’obesità all’ospedale Delnor dell’Illinois (Stati uniti).

La dottoressa, non coinvolta nello studio, sottolinea però come non sia stato specificato se le donne coinvolte fossero in menopausa, in questo caso l’accumulo di grasso addominale sarebbe maggiore che negli uomini.

Inoltre la ricerca si baserebbe solo su effetti a breve termine, tralasciando quelli a lungo periodo.

Carboidrati per vivere di più

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Una ricerca ci spiega la giusta quantità da assumere

Carboidrati per vivere meglio e più a lungo. Una ricerca pubblicata sulla rivista The Lancet ci spiega la giusta quantità da assumere, e come le diete povere di carboidrati non facciano poi così bene.

Lo studio è stato condotto su 450 mila persone in tutto il mondo, è una delle ricerche maggiormente approfondita sull’argomento.

Sara Seidelmann, cardiologa e nutrizionista presso il Brigham and Women’s Hospital di Boston, ha guidato la squadra di esperti che hanno controllato le diete di ben 15,400 statunitensi e 432 mila soggetti di altri 20 paesi.

Incrociando i vari dati acquisiti, il team di scienziati ha individuato come gli individui che hanno assunto circa il 50% del totale di calorie quotidiane sottoforma di carboidrati, fossero anche quelli più longevi.

La rivista asserisce che un’alimentazione arricchita da verdure, cereali integrali, noci e legumi, possa aiutare il nostro corpo a invecchiare meglio. L’ideale è non esagerare in entrambi i casi: una dieta composta quasi esclusivamente da carboidrati sarebbe dannosa come una priva totalmente di essi.

Lo studio riporta come esempio quello di un 50enne che assume il 50-55% di carboidrati e che avrebbe quindi un’aspettativa di vita di altri 33,1 anni. Al contrario, un altro soggetto con solo il 30% di calorie quotidiane formate dall’assunzione di pane, grissini, fette e simili, potrebbe vivere 29,1 anni in più. Con una differenza di ben 4 anni.

Seidelmann asserisce che diete come la chetogenica o la Atkins, entrambe con bassa assunzione di carboidrati, possano sì favorire il dimagrimento, ma non sarebbero una scelta sana a lungo termine.

In conclusione Seidelmann ha affermato che "non c'è assolutamente nulla di più importante per la nostra salute di quello che mangiamo ogni giorno. Mi piacerebbe davvero che le persone si rendessero conto del potere che hanno sulla propria salute".

Ai diabetici fa male l'estate Ci sono troppe tentazioni...

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Frutta, bevande zuccherine, gelati L'alimentazione è il pericolo numero uno

di Marco Palma

Non è solo la malattia del secolo: perché i malati di diabete oggi in tutto il mondo sono oltre 400 milioni, con oltre 60 milioni solo in Europa e, secondo le stime, saranno oltre mezzo miliardo alla fine del 2030; ma per questa patologia è allarme rosso. E' infatti l'estate la stagione più difficile per il diabetico: una patologia non sempre gestibile per questi malati e le cause sono molteplici : il caldo, la sete, la pressione arteriosa e un livello di glicemia che varia durante la giornata spesso in modo preoccupante, senza monitoraggio e senza poter prevedere i picchi giornalieri, quanto e come controllare il glucosio. Soprattutto di diabete di tipo 2, quello dove non viene prodotta una quantità sufficiente di insulina o non agisce in modo adeguato nel nostro corpo.

LIVELLI DI GUARDIA

In Italia gli ultimi dati di settore sono da livello di guardia: 4 milioni (il 5,4% della popolazione) tra gli adulti ed oltre 40mila tra i bambini e gli adolescenti. Un dato preoccupante avvertono gli specialisti, e per questo è necessario intervenire su più fronti: pediatri e diabetologi mettono sotto accusa l'alimentazione, l'aver mandato in soffitta la dieta mediterranea riconosciuta addirittura come patrimonio dell'Unesco, scarsa attività fisica per le troppe ore passate davanti ai computer e alla televisione. E poi i bambini. Un bambino obeso oggi sarà un adulto malato domani: di diabete e di malattie cardiovascolari. L'impatto economico sul Servizio sanitario nazionale è di oltre 15 miliardi di euro l'anno.

«La stagione più critica per il malato diabetico è l'estate. I livelli di glicemia oscillano anche di molto e le cause sono molteplici, anzitutto l'alimentazione a causa della frutta molto dolce e appetibile, poi bevande spesso zuccherine, gelati. In una persona non diabetica i pasti sono più gestibili, per il diabete e i valori glicemici conseguenti assolutamente no» dice a Il Giornale la Professoressa Concetta Irace Dip. Scienza della salute, Università degli Studi della Magna Grecia di Catanzaro. E' dunque «fondamentale raggiungere un controllo metabolico ottimale, ovvero mantenere la glicemia entro il target stabilito, riducendo il rischio di episodi giornalieri ipo o iperglicemici e mantenendo - aggiunge la Irace una qualità di vita ottimale per il malato».

Per il controllo quotidiano della glicemia sono stati fatti sensibili passi in avanti, sempre più innovativi e sempre meno fastidiosi: «Penso ad esempio al controllo glicemico continuo con misurazioni non più a intervalli ma letture automatiche dei valori, con registrazioni dell'andamento glicemico e delle sue fluttuazioni grazie ad un piccolo sensore impiantato sotto cute». Il sensore ha una durata fino a 180 giorni e permette un accurato monitoraggio glicemico realmente continuativo per tutto il periodo di utilizzo. I dati raccolti, inoltre, vengono visualizzati sullo smartphone in modo molto semplice ed intuitivo, perché siano informazioni fruibili per migliorare la gestione del proprio diabete.

Il rischio di sviluppare il diabete «aumenta con il passare dell'età, con la presenza di obesità e con l'assenza di una attività fisica» sottolinea il dott. Giuseppe Caminiti diabetologo e nutrizionista dell'Università di Messina «anche se oggi troviamo sempre più giovani che non sapevano di essere diabetici, che conducono un non corretto stile di vita alimentare e che improvvisamente sviluppano degli andamenti anomali del carico di glicemia durante la giornata e che loro avvertono con sudorazione, sete, spossatezza confondendo questi sintomi con il caldo estivo. E qui entra in gioco un fattore estremamente importante per il diabetico che è la familiarità. In presenza di genitori o nonni diabetici è importante un controllo dei valori ematici e una prova da carico glicemico. Scopriamo sempre più persone diabetiche che non sospettavano minimamente di esserlo».

LEZIONI IN CLASSE

Proprio sull'aspetto pediatrico e adolescenziale le diverse associazioni di malati assieme a diabetologi, nutrizionisti, pediatri e cardiologi sono impegnate per sensibilizzare verso un corretto stile di vita, alimentare e non solo. Molto potrebbe fare il mondo della scuola.

Purtroppo in Italia mancano insegnanti specializzati su modelli comportamentali come esistono negli altri Paesi europei; manca una corretta gestione del bambino diabetico a scuole dove passa molte ore ed ha bisogno di essere assistito. Modelli che prevedano non solo la tipologia dei pasti, ma quanto e cosa bere durante le ore scolastiche, attività fisica, eventuale assistenza da parte del personale specializzato.

I "no" che aiutano a crescere (i nostri amici animali)

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Le case sono a misura d'uomo, non di bestie: ecco le regole per salvare cani e gatti dalle insidie domestiche

I no che aiutano a crescere (Asha Phillips, 1999) è stato il bestseller che ha salvato migliaia di genitori alle prese con figli non sempre semplici da gestire. Come? Imparando a dire dei «no», a imporre dei divieti che si sarebbero rivelati positivi per il loro sviluppo. Per quanto duro da mandare giù, un «no» può aiutare a evitare un pericolo, a non farsi del male (in senso figurato e non), a salvarsi la vita. Anche quando in ballo non ci sono i figli, ma un'altra «categoria» a cui si fa quasi altrettanta fatica a proibire qualcosa: gli animali domestici. Che proprio in casa possono correre pericoli inaspettati. Abitazioni che, per quanto li vedano trattati da re, sono pur sempre costruite a misura d'uomo, non di animale, come spiega Oscar Grazioli, veterinario e firma de Il Giornale, nel suo ultimo libro in uscita oggi, I no che aiutano i nostri animali (Salani), guida semiseria - seria nei contenuti, leggera nei toni - a tutte quelle situazioni in cui bisogna trovare la forza di scuotere il capo di fronte alle richieste - mute, ma comunque perentorie - dell'amico a quattro zampe.

Si parte dalla cucina - perché mente chi nega di aver mai fatto scivolare qualche avanzo sotto il tavolo - ma si spazia poi dal giardino alla cantina, dal balcone all'automobile, perché la curiosità di gatti e cani riesce a farli cacciare in guai più o meno pericolosi in tutti gli ambienti domestici. Tra gli alimenti per loro tossici, ad esempio, non ci sono solo quelli più scontati (alcool, caffè). Molto velenosi sono anche due ingredienti che raramente mancano nei frigoriferi italiani, cipolla e aglio: i solfossidi che contengono li rendono particolarmente dannosi per i felini, poiché indeboliscono i globuli rossi e possono provocare un tipo di anemia fatale. Vietati assolutamente anche tè e cioccolato, che contengono gli stessi alcaloidi eccitanti presenti nel caffè. Terminato il pasto, infine, mai concedere un chicco d'uva al proprio Fido, a meno che poi non si abbia voglia di fargli fare un giro dal veterinario per una lavanda gastrica.

Proseguendo in un tour virtuale della casa, attenzione all'armadietto dei medicinali: la tentazione di somministrare i nostri farmaci agli animali - «Non siamo così diversi, che sarà mai...» - può essere letale, dato che alcuni principi attivi che rimettono in salute l'uomo sono velenosi per loro, come l'acido acetilsalicilico dell'aspirina. Occhio poi ai balconi, soprattutto per quanto riguarda i gatti, che non soffrono di vertigini - quante volte li vediamo passeggiare come se niente fosse sul cordolo del terrazzo a decine di metro d'altezza? - ma che sono «soggetti» alle cadute: sarebbe meglio metterli in sicurezza con delle reti. Prudenza anche sulle scale: se per tanti animali sono innocue, possono essere fatali per alcune razze canine come il bassotto o il corgie, dal dorso molto allungato e inclini a subire danni alla colonna vertebrale. In giardino, invece, il pericolo si annida dietro le specie di fiori più diffuse: gli amici a quattro zampe devono stare lontani, tra gli altri, da gigli, oleandri e azalee, mentre la cosiddetta stella di Natale non è così dannosa come si è a lungo creduto.

Ma se è spesso la casa a nascondere insidie, l'autore ci mette in guardia: a volte il pericolo arriva proprio dai padroni, che, seppure in buona fede, si accaniscono con abitudini sbagliate sugli animali. In quel caso dovrebbero dirsi un paio di «no» allo specchio.

Parkinson, un test della retina potrebbe diagnosticarlo

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Secondo uno studio coreano, una diagnosi precoce del Parkinson potrebbe essere effettuata attraverso un test dell'occhio

Colpisce ogni anno circa 250 mila persone e al momento non esiste una cura in grado di debellarlo. Stiamo parlando del morbo di Parkinson, una malattia neurodegenerativa ad evoluzione lenta ma progressiva. Le nozioni su questo male risalgono all'antichità. Una prima descrizione, infatti, sarebbe stata trovata in uno scritto di medicina indiana facente riferimento ad un periodo intorno al 5000 a.C. Il nome, invece, è legato a James Parkinson, un farmacista londinese del XIX secolo che per primo - nel famoso libretto intitolato "Trattato sulla paralisi agitante"- descrisse i sintomi della malattia ovvero tremore, rigidità, lentezza e problemi di equilibrio.

Solo una diagnosi precoce è in grado di rallentare la degenerazione neuronale e a tal riguardo una speranza giunge da uno studio svolto nella Corea del Sud secondo il quale un assottigliamento della retina potrebbe anticipare la comparsa del Parkinson. La ricerca condotta dal Seoul Metropolitan Government-Seoul National University Boromae Medical Center e pubblicata online su Neurology, verte sull'idea che le persone affette da tale patologia perdono in maniera graduale le cellule cerebrali produttrici di dopamina, la sostanza cioè che regola il movimento. Una retina che diventa via via più sottile sarebbe, dunque, strettamente legata alla perdita di quelle stesse cellule cerebrali.

Lo studio ha coinvolto 49 volontari esenti da cure - età media 69 anni - a cui la malattia era stata diagnosticata 2 anni prima. Tra questi 28 pazienti avevano precedentemente effettuato una tomografia a emissione di positroni trasportatori di dopamina (PET). Essi sono stati poi confrontati con 54 individui sani di pari età. A tutti, i ricercatori hanno eseguito un esame della vista completo associato a scansioni oculari con emissione di onde luminose rilevanti ogni strato della retina.

L'indagine ha condotto ad una conclusione inaspettata. Il Parkinson non solo uccide i neuroni produttori di dopamina, ma assottiglia anche la retina, in particolare i due strati interni dei cinque complessivi. Nei soggetti malati essi presentavano uno spessore medio di 35 micrometri a differenza dei 37 micrometri degli individui sani. Maggiore è il grado di assottigliamento della retina, più gravi sono i sintomi accusati.

I risultati devono ovviamente essere approvati da studi più ampi e approfonditi. Una loro conferma rivoluzionerebbe l'approccio alla malattia. Le scansioni della retina, infatti, oltre a consentire un trattamento precoce del Parkinson, assicurerebbero un monitoraggio preciso dei trattamenti che potrebbero rallentare la progressione della patologia.

Scoperto un nuovo tipo di sclerosi multipla

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Grande passo avanti per comprendere meglio questa patologia che interessa 120 mila persone solo in Italia

Sclerosi multipla, è stato fatto un passo avanti per cercare di capirla meglio. E’ stata infatti condotta una nuova ricerca e pubblicata sulla rivista scientifica Lancet Neurology.

Questa malattia, che colpisce 120 mila persone solo nel nostro Paese, è ancora sconosciuta per molti aspetti. E’ stato però scoperto un nuovo tipo di Sm, chiamata mielocorticale, Mcms, che distruggerebbe i neuroni senza intaccare la mielina, il rivestimento protettivo dei nervi.

Fino a questo momento gli scienziati credevano fosse la demielinizzazione, la causa principale e unica a causare la morte dei neuroni. Lo studio condotto dal team diretto da Bruce Trapp della Cleveland Clinic, dimostrerebbe invece che la perdita di neuroni non è per forza collegata alle lesioni della materia bianca cerebrale.

Bruce Trapp è tra i più accreditati a livello internazionale nello studio della sclerosi multipla, con oltre 240 pubblicazioni scientifiche sul tema.

Gli esperti sottolineano come sia indispensabile studiare nuove tecniche di risonanze magnetiche maggiormente sensibili. Quelle in uso fino a questo momento infatti, non danno la possibilità di differenziare Mcms dalle altre forme della patologia.

Riuscire a distinguere i vari tipi, vorrebbe dire avere un vantaggio maggiore nella ricerca della terapia da usare. Secondo Trapp, questa ricerca "apre una nuova arena nella ricerca sulla sclerosi multipla".

Lo studio è stato condotto su 100 pazienti con sclerosi multipla deceduti. Dodici di loro avevano la sclerosi corticale, avevano perso quindi i neuroni, ma la mielina risultava ancora intatta.

Gli scienziati hanno quindi paragonato i vari tessuti cerebrali e del midollo spinale, sia tra individui affetti da Sm, di entrambi i tipi, sia di persone sane.

Sia nei pazienti con Mcms che con Sm, vi erano le normali lesioni che la malattia provoca, a livello midollare e della corteccia cerebrale. Però solo nel gruppo con sclerosi multipla, erano presenti anche alterazioni della mielina.

Nonostante anche i pazienti con sclerosi corticale, mostrassero una riduzione della densità neuronale e dello spessore della corteccia, la loro mielina non aveva subito attacchi.

Daniel Ontaneda, direttore clinico del programma di donazione del cervello presso il Mellen Center for Treatment and Research della Cleveland Clinic, ha sottolineato come l'importanza di questa ricerca sia duplice.

Da una parte la scoperta di una nuova forma di Sm fino a questo momento sconosciuta, dall’altra la necessità di ideare strumenti più sensibili per comprendere la patologia.

“Siamo fiduciosi che i risultati porteranno a nuove strategie di trattamento su misura per i pazienti che vivono con diverse forme di Sm" ha concluso Daniel Ontaneda.


Come prevenire l’Alzheimer a tavola

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Secondo nuove e recenti ricerche scientifiche, per mantenere vitali le zone del cervello implicate nell’Alzheimer, occorre una corretta alimentazione e l’integrazione di specifiche vitamine antiossidanti. Ecco come prevenire a tavola questa malattia neuro- degenerativa

L’Alzheimer è una grave malattia neurodegenerativa. E’ una sindrome a decorso cronico e progressivo. Si manifesta attraverso sintomi cognitivi (difficoltà di memoria e di linguaggio, di riconoscimento di oggetti, disorientamento), funzionali (difficoltà nello svolgere le attività della vita quotidiana) e comportamentali (agitazione, ansia, depressione) che con il tempo peggiorano. La malattia di Alzheimer si differenzia dal normale declino della funzionalità cognitiva dovuta all’età, in quanto quest’ultima è più graduale e associata a minore disabilità sul piano funzionale.

Le persone colpite da questa patologia sono già oltre 600.000 in Italia. Il nostro Paese è tra i più longevi d’Europa con la presenza di una maggiore popolazione di ultrasessantenni. Si stima che i pazienti affetti da questa patologia sono destinati ad aumentare progressivamente nei prossimi dieci anni.

Le ricerche scientifiche dimostrano che l’assunzione del rame rende una dieta a rischio nello sviluppo dell’Alzheimer. Il rame presente in determinati alimenti risulta molto tossico per il nostro organismo che non riesce a smaltirlo efficacemente. Da evitare quindi tutti gli alimenti che contengono livelli alti di rame, ad esempio fegato, frutti di mare e cozze.

Le strategie alimentari volte a ridurre l’invecchiamento cerebrale prediligono la dieta mediterranea che prevede un’alimentazione ricca di composti neuro protettivi come gli antiossidanti, le sostanze bioattive e gli acidi grassi Omega- 3.

I nutrizionisti consigliano vivamente di assumere giornalmente quantità di cibi di origine vegetale come verdure, legumi, frutta e cereali integrali. nel nostro organismo non deve mancare mai la vitamina E perché è un potente antiossidante ed è presente nelle noci, mandorle, nocciole e anche nell’olio extra vergine d’oliva che regna sovrano all’interno della dieta mediterranea.

E’ da evitare l’assunzione di grassi saturi tipici della carne rossa. Si consiglia di mangiarla eliminando sempre il grasso visibile. Evitare anche i grassi cosiddetti trans che sono presenti in molti snack e merendine e indicati sotto la dicitura “ oli parzialmente idrogenati”. Ricordatevi di assumere giornalmente la vitamina B12 che è molto preziosa ed è presente nel latte, nei suoi derivati come alcuni formaggi specifici come la grana, nel pesce e nella carne.

Pacemaker su donna di 105 anni: intervento eccezionale

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L'ospedale "Umberto I" di Lugo

Sensazionale intervento chirurgico all'ospedale Umberto I di Lugo, nel Ravennate. L'equipe medico ospedaliera guidata dalla dottoressa Ida Rubino, impianta con successo un pacemaker su di una anziana donna di 105 anni

Un pacemaker su un paziente ultracentenario? Si può fare.

Come riportato da un comunciato diramato questa mattina dall'Ausl Romagna, nei giorni scorsi presso l'ospedale di Lugo l'equipe medica della dottoressa Rubino ha operato una donna di 105 anni affetta da una grave patologia cardiaca. La paziente, proprio a causa della tarda età e della disfunzione, si trovava in gravi condizioni di salute.

Il pacemaker servirà a risolvere il blocco atrio-ventricolare di terzo grado, una completa interruzione della trasmissione dell'impulso elettrico dagli atri ai ventricoli, disturbo dal quale era affetta la paziente.

Questa tipologia di intervento, come testimoniato dai medici, è una procedura molto rara su pazienti così anziani anche se, nel 2012, sempre nell'ospedale di Lugo, era stato portato a compimento il medesimo intervento su un degente della stessa età.

In totale, negli ultimi 13 anni, sono tre gli impianti eseguiti su altrettanti pazienti ultracentenari, su un totale di circa 800 interventi di questo tipo.

La paziente è stata infine dimessa dopo 48 ore dall'operazione, rientrando in una struttura del luogo nella quale risiede.

Le coppie fanno meno sesso: colpa della televisione

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I ricercatori dell'Università del Delaware hanno analizzato quattro milioni di persone provenienti da 80 paesi di tutto il mondo: a quanto pare, le coppie farebbero meno sesso per colpa di televisioni e smartphone

Negli anni la televisione ha consolidato il suo ruolo all'interno delle mura domestiche, ma oggi si scopre che questo elettrodomestico è sempre più nemico della coppia. Una ricerca dell'Università del Delaware, che ha coinvolto milioni di persone nei cinque continenti, ha dimostrato come le persone preferiscano la compagnia di un dispositivo elettronico a quella del partner. Infatti, è stato dimostrato che chi possiede un televisore ha il 6% in meno di probabilità di fare sesso in una settimana: questa percentuale, secondo gli studiosi, sembra sia anche abbastanza prudente.

Gli esperti, inoltre, aggiungono che gli smartphone potrebbero essere definiti come dei veri killer della vita sessuale. Lo studio, pubblicato sul National Bureau of Economic Research, ha analizzato quasi quattro milioni di persone provenienti da 80 paesi e segue un'altra ricerca che ha rivelato come, nel 2010, si sia fatto sesso soltanto 3 volte al mese rispetto alle 5 volte del 1990. Tra le cause non solo televisori e schermi elettronici, ma anche la durata dei programmi: qualche decennio fa la prima serata terminava attorno alle 22.30, lasciando tempo agli innamorati di abbandonarsi al piacere erotico.

Parlando del ruolo degli smartphone al giorno d'oggi, i ricercatori hanno scritto che la popolazione presa in esame risiede nei paesi a basso e medio reddito ed è stata intervistata intorno al 2010, quindi prima della maggiore diffusione degli smartphone. I risultati, ancora, suggeriscono che il reddito, l'età o il livello di istruzione non influenzino le volte in cui un proprietario di un televisore fa sesso. Secondo il gruppo di ricerche di mercato Nielsen, negli Stati Uniti gli adulti trascorrono più di 11 ore al giorno interagendo con i vari media. Ciò fa capire come la forza attrattiva della televisione, degli smartphone e degli schermi in generale sia diventata una sorta di dipendenza, tanto da allontanare le persone dalle più essenziali delle interazioni umane.

Rughe sulla fronte: un segno di problemi cardiaci

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Uno studio francese ha rivelato che la presenza di rughe marcate in fronte, più evidenti rispetto a quelle tipiche dell'età, sia da correlare alla presenza di alcune malattie cardiache

Le rughe non sono solo un segno dell'età che avanza, ma possono anche rivelare problemi più seri: in particolare, quelle profonde sulla fronte possono essere correlate alla presenza di malattie cardiovascolari. Uno studio, presentato a Monaco al Congresso della ESC - la Società Europea di Cardiologia - ha rivelato come le persone con più rughe rispetto a quelle classiche dell'età abbiano un rischio più elevato di morire per cause cardiache. Inoltre, i ricercatori hanno spiegato che i segni del tempo potrebbero essere collegati all'arteriosclerosi, che consiste nell'ispessimento delle arterie dovuto all'accumulo di placche. Sembra che i cambiamenti nella proteina del collagene - che conferisce struttura ai capelli, alla pelle e alle unghie - e lo stress ossidativo giochino un ruolo importante sia nell'arteriosclerosi che nelle rughe. I piccoli vasi sanguigni presenti sulla fronte potrebbero essere più sensibili all'accumulo di placche, le rughe potrebbero segnalare perciò la loro degenerazione.

Gli scienziati sono giunti a questa conclusione dopo aver analizzato un gruppo di 3.200 persone di 32, 42, 52 e 62 anni. Ai partecipanti sono stati assegnati punteggi in base al numero e alla profondità delle rughe presenti sulla fronte: il punteggio 0 equivale a nessuna ruga, mentre il punteggio 3 evidenzia la presenza di numerose rughe profonde. Il campione è stato seguito per 20 anni e, in questo arco temporale, si è registrata la morte di 233 pazienti per cause naturali. Alla fine dello studio, il 15,2% aveva 2-3 rughe, il 6% una sola e il 2,1% non ne aveva nessuna. Le persone con il punteggio 1 avevano un rischio leggermente più alto di morire di malattie cardiovascolari rispetto alle persone con zero rughe. Invece, per chi ha avuto un punteggio 2 e 3, il rischio di morire aumentava di quasi 10 volte. L'autrice dello studio, Yolande Esquirol, professoressa associata di salute professionale al Centro ospedaliero universitario di Tolosa, ha dichiarato: "Abbiamo esplorato le rughe sulla fronte come un marcatore perché è semplice e visivo. Solo guardando il viso di una persona potrebbe scattare l'allarme e, quindi, potremmo fornire consigli per ridurre il rischio".

Il consiglio che la dotteressa ha dato è quello di modificare il proprio stile di vita, facendo più attività fisica e mangiando in modo corretto. La sfida in campo medico è quella di identificare precocemente i pazienti ad alto rischio. Esquirol ha poi aggiunto: "Naturalmente, se si ha una persona con un potenziale rischio cardiovascolare, si devono controllare i classici fattori di rischio come la pressione sanguigna e i livelli di glucosio e glicemia, ma si potrebbero già condividere alcune raccomandazioni sui fattori dello stile di vita". Come sottolineato dalla stessa dottoressa, questo legame tra il rischio cardiovascolare e le rughe sulla fronte dovrà essere confermato con ulteriori studi futuri, ma a livello pratico può essere già tenuto presente in cliniche e studi medici. Una precedente ricerca aveva invece correlato vari segni d'invecchiamento - come la calvizie, le pieghe del lobo dell'oreccio o le borse di colesterolo sotto la pelle - a un più alto rischio di malattie cardiache, seppur senza rilevare un aumento del pericolo di morte.

Il cereale della salute per una prima colazione che dona il buonumore

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Da Riso Scotti una varietà di prodotti che assicurano energia e sono «gluten free»

Viviana Persiani

Il tema della colazione è sempre molto dibattuto: «più proteine», «meno grassi», «attenzione agli zuccheri», «solo carboidrati». Ma il segreto di una colazione perfetta, però, sta nella sua capacità di regalare il buonumore e di migliorare, oltre alla durata della vita, anche la qualità della nostra quotidianità.

Lo start deve essere brillante, piacevole e gustoso. Riso Scotti, molto attento ai gusti degli italiani sempre più esigenti, sia dal punto di vista salutistico sia da quello del mero piacere del palato, ha sfruttato le moderne tecnologie produttive aziendali per valorizzare il concetto del riso come cereale della salute proponendolo come «cibo funzionale» e cambiandogli forma.

Come? La versatilità del cereale buono, gustoso e salubre ha permesso a Riso Scotti di declinare l'ingrediente attraverso prodotti di diversificazione, a partire, appunto, dalla prima colazione. Combattiamo la noia, già di prima mattina: per chi è stanco della solita fettina di pane tostato o del cracker, le Risette Breakfast Dolce Colazione sono perfette da spalmare con la marmellata, la crema di nocciole, il miele: de gustibus. Di certo, Riso Scotti offre una soluzione ideale per una prima colazione sprint - anche per i celiaci, essendo gluten free - grazie all'energia dei carboidrati del riso e al dolce sentore di miele che ogni fetta croccante sprigiona.

Rigorosamente Bio, le Risette Riso Scotti sono ottime anche da inzuppare nel latte o nella bevanda vegetale. Infatti, non è una novità che sempre più italiani siano intolleranti al lattosio: oltre 4 milioni di persone, ben 7 su 10, dichiarano di non riuscire a digerirlo. Senza trascurare quella fetta importante di consumatori che, per scelta, opta per un'alimentazione vegetale. Ecco perché Riso Scotti offre un'alternativa vegetale di qualità, bontà e salute per poter intingere anche le Risette Breakfast e completare al meglio la colazione.

Un benvenuto alla golosa linea Chiccolat di bevande leggere e facilmente assimilabili, prive di proteine del latte vaccino e quindi adatte agli intolleranti e a coloro che faticano a digerire il latte. Gustoso da consumare caldo, da solo o insieme al caffè, al tè, oppure in aggiunta ai cereali o anche con il cacao, Chiccolat è piacevole anche freddo, per una colazione sempre completa e leggera. Privo di zuccheri aggiunti, Chiccolat è presente sul mercato al gusto di Riso, al riso con aggiunta di calcio, di mandorla (dolcificato con sciroppo d'agave) e con quinoa.

Per un apporto maggiore di fibre c'è la versione Integrale, senza trascurare Chiccolat Vegan Più con il suo contributo nutritivo bilanciato grazie ai carboidrati del riso, ma anche alle proteine della soia e agli omega 3 e omega 6 della canapa. Da non dimenticare la versione al gusto Avena. Le bevande vegetali Chiccolat sono suggerite come ingrediente per preparare budini, creme e dolci raffinati; per una colazione ancora più ricca.

Ascolto e supporto gratuito a beneficio delle famiglie

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La figura del mediatore agevola il confronto. L'azione di Aimef nell'affrontare separazioni e controversie

Iris Catarsi

La famiglia moderna sta attraversando un momento di grande crisi. Sembrerà una frase banale, ma anche i dati parlano chiaro: l'Istat, nel suo Annuario Statistico Italiano edizione 2017 (un volume organizzato in 24 capitoli), evidenzia che sul fronte delle separazioni si passa dalle 89.303 del 2014 a 91.706 del 2015, mentre per i divorzi l'aumento è decisamente più marcato: da 52.355 salgono a 82.469.

Tutte le famiglie in crisi vorrebbero avere un vademecum su come gestire la conflittualità e la divergenza di idee, ma la formula perfetta non esiste: ogni famiglia, del resto, ha la sua storia, su cui influiscono sia la componente affettiva sia il vissuto di ciascuno. Perche il conflitto, in sé, spaventa, ma si puoimparare a gestirlo.

In quale modo? Attraverso la mediazione che affronta le difficoltadella coppia in presenza di un «soggetto terzo» (la figura del mediatore) che sa utilizzare gli strumenti per accompagnare sui sentieri sconnessi (quelli del conflitto) agevolando il confronto. I temi riguardano i diversi mondi genitoriali: la relazione tra nonni e nipoti, tra i genitori e i loro genitori, le regole educative e così via. La chiave della mediazione equella di insegnare la considerazione del punto di vista dell'altro: un'azione tutt'altro che banale. Il vero ascolto, infatti, non efatto solo con le orecchie, ma anche e soprattutto con la mente e il cuore.

Aimef, Associazione italiana mediatori familiari, ha raccolto questa esigenza e per garantire il benessere dei cittadini e delle famiglie in difficoltà ha aperto, presso tribunali ed enti, su tutto il territorio nazionale, alcuni sportelli ai quali ci si può rivolgere gratuitamente per avere indicazioni su come affrontare la separazione e le controversie in ambito familiare (gli sportelli sono aperti per il momento nelle città di Arezzo, Messina, Isernia, Avezzano e Sarno; inoltre Aimef ha stipulato convenzioni con Aiaf Sicilia, Associazione italiana avvocati famiglia e minori, Aiga, Associazione italiana giovani avvocati, di Lecce, Bologna e Pescara, e ha in previsione di aprire sportelli su altre città del territorio nazionale).

Inoltre, sul sito www.aimef.it è possibile trovare il mediatore presente sul proprio territorio.

Aimef è nata nel 1999 e, al suo interno, conta più di 850 mediatori familiari sparsi su tutto il territorio italiano, dei quali 130 presenti in Lombardia, con una specifica formazione, successiva alla laurea anche triennale, con competenza nell'ambito del sostegno alle coppie/famiglie in crisi.

L'associazione garantisce il percorso formativo dei suoi associati corsi in aula e tirocini specifici.

Dal 2002 è iscritta nell'elenco speciale del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (n. 033/03) ed è la prima organizzazione di Mediatori Familiari iscritta nell'elenco delle associazioni professionali previsto dall'art.2, comma 7, della Legge 14 Gennaio 2013, n. 4 - Disciplina delle professioni non organizzate in Ordini.

www.aimef.it

Gli autisti come piloti di aerei e Formula 1 Più spazio al benessere

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Pyxis ha ideato percorsi aziendali allo scopo di favorire la produttività e contro lo stress

Riccardo Cervelli

L'innovazione di un settore produttivo non dipende solo dall'adozione delle tecnologie più avanzate, ma anche da una autentica attenzione al «fattore umano»: se le persone lavorano in uno stato di benessere a beneficiarne sono anche le imprese in cui lavorano e la comunità in genere. L'impegno di aziende e organizzazioni deve riguardare, oltre alla consueta formazione tecnica, l'implementazione di programmi volti a ottimizzare le prestazioni professionali attraverso il raggiungimento di livelli ottimali di benessere della forza lavoro.

In Italia, un po' in ritardo rispetto ad altri Paesi, si è iniziato a cogliere l'importanza del wellness soprattutto nei comparti più avanzati dei servizi. «Altri settori come la logistica e il trasporto su gomma, potrebbero trarre grande beneficio introducendo protocolli mirati alla salute e il benessere dei conducenti con risultati evidenti in termini di produttività e sicurezza sulle strade». A dirlo è Tiziana Pregliasco, fondatrice di Pyxis, società che promuove il benessere fisico e psicologico nelle aziende per incentivare produttività, creatività, capacità di relazione e gestione dello stress.

Pyxis, i cui programmi sono diversificati per settore e tipologia di azienda e già adottati da importanti imprese, ha deciso di impegnarsi nello sviluppo di percorsi di wellness dedicati agli autisti di mezzi pesanti. Un'iniziativa che non può non riscuotere interesse se si pensa alla diffusione del trasporto su gomma in Italia e ai casi di tragedie stradali che si registrano con il coinvolgimento di questi veicoli.

«Negli ultimi anni continua Tiziana Pregliasco le Case produttrici di camion hanno sviluppato tecnologie molto evolute, ma efficienza e sicurezza rimangono pur sempre condizionate dalla prestazione umana e dal livello di concentrazione del conducente. Per favorire ulteriormente sostenibilità e sicurezza del trasporto si deve intervenire su fattori quali l'esercizio fisico adattato alla mansione, adeguate abitudini nutrizionali e una corretta rigenerazione dalla stanchezza e dallo stress».

Le proposte che Pyxis sta sviluppando si rivolgono a target diversi, che vanno dalle associazioni di categoria, ai costruttori di camion, alle aziende di trasporto detentrici di grandi e piccole flotte. «La guida di questi veicoli è molto impegnativa e richiede livelli elevatissimi di concentrazione. L'impegno del settore deve essere quello di rendere questo mestiere sostenibile nel tempo, minimizzando le ripercussioni sulla salute - precisa la fondatrice di Pyxis -. Bisogna andare oltre gli stereotipi del camionista e pensare ai guidatori di mezzi pesanti come ai piloti di aereo, di Formula 1 o dei mezzi spaziali, i quali, oltre a disporre delle tecnologie più avanzate, gestiscono in maniera non casuale la loro nutrizione, l'esercizio fisico e il recupero per avere massima resa e ottimali livelli di energia».


Le cure naturali per le intolleranze alimentari

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Le intolleranze alimentari sono disturbi del nostro organismo che provocano nausea, crampi, emicranie, spasmi. Rispetto alle allergie spariscono con la sospensione dell’alimento incriminato. Ecco le erbe che la natura ci offre per curare la loro sintomatologia

Le intolleranze alimentari hanno origine da un’alterazione dell’ecosistema gastroenterico soprattutto dell’intestino tenue dove avviene il processo che trasforma il nostro cibo per essere filtrato nel sangue.

L’intestino tenue è considerato anche una sorta di “cervello ausiliario” che non si occupa solo dell’assimilazione del cibo ma è anche in continua connessione con gli altri sistemi del nostro organismo come quello nervoso, endocrino e immunitario. Quando batteri, virus, stress, alterazioni ormonali interagiscono con l’azione dell’intestino tenue, le mucose si infiammano. Accade così che alcune quantità di cibo non riescono ad essere assimilate efficacemente dal nostro organismo provocando delle reazioni come le intolleranze alimentari.

Esse possono provocare infiammazioni alla mucosa intestinale fino ad estendersi al sistema gastrico, respiratorio e urogenitale. Alcune tossine provocano persino delle emicranie perché giungono fino al cervello e possono scaturire problemi alla concentrazione e alla memoria.

Curare le intolleranze alimentari è di vitale importanza per la salute del nostro organismo. Rispetto alle allergie le intolleranze spariscono con la sospensione dell’assunzione dell’alimento incriminato.

Tra i rimedi naturali che vengono utilizzati per depurare l’organismo vi consigliamo l’utilizzo di queste erbe medicinali offerte dalla natura:

- la Bardana: è un’erba detossinante, utile per le intossicazioni da intolleranze che si manifestano sulla pelle sotto forma di eczemi, acne e dermatosi. Depura l’organismo stimolando l’azione del fegato e dei reni;

- La Camomilla: ricca di azulene, ritenuta una degli antinfiammatori naturali per eccellenza. E’ un ottimo sedativo. E’ preziosa quando a causa di intolleranze abbiamo nausea, crampi addominali, spasmi gastrici. Svolge un’azione protettiva contro i virus gastroenterici come lo stafilococco emolitico e il Proteus;

- la Liquirizia: agisce sui vari problemi generati dalle intolleranze. Stimola la produzione di bile e lo smaltimento delle tossine. E’ adatta quando i sintomi dell’intolleranza alimentare sono nausea, emicranie digestive e dispepsia. Non usare in caso di ipertensione;

- Il Mirtillo nero: ricco di tannini, acidi organici, Sali minerali e vitamine è rinfrescante e disinfettante. Costituisce un ottimo nutrimento per la mucosa intestinale;

- l’Aloe Vera: da utilizzare quando l’intolleranza è provocata dall’assunzione di farmaci. L’aloe vera è un ottimo ricostituente, ricca di vitamine, rigenerante della flora batterica e tonificante del sistema immunitario grazie ad un muco. Polisaccaride chiamato acermannano;

- l’Echinacea: pianta erbacea utile per rafforzare il sistema immunitario. Ricca di polisaccaridi, flavonoidi e acido cicorico e olii essenziali che le conferiscono proprietà antibatteriche e antinfiammatorie;

- l’Angelica: erba indicata per le intolleranze alimentari originate da alterazioni ormonali e somatizzazioni intestinali provocate dallo stress. Ha un effetto rilassante sul sistema nervoso e su quello viscerale. Promuove la digestione.

Basta lo sballo di una sera per avere psicosi (a vita)

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L'allarme arriva dai reparti di salute mentale

Se la cocaina rischia di provocare un'autentica pandemia, l'allarme droga si concentra anche su altre sostanze: nuove, pericolosissime, vendute a prezzi accessibili anche ai più giovani. Il 2016 ha sancito la diffusione capillare della spice, un miscuglio di erbe essiccate che produce effetti simili a quelli della marijuana, ma in realtà ben più gravi per la salute: aggressività, ipertensione, accelerazione del battito cardiaco, aumento della pressione sanguigna, visione offuscata e allucinazioni sensoriali. Sul mercato illegale viene immesso di tutto: acidi, pasticche, shaboo - la cosiddetta droga dei filippini a base di metanfitamina in grado di tenere svegli molto a lungo -, la Crystal meth - che leva fame, sete e sonno ma causa problemi psichiatrici a lungo termine - la Krocodil che «mangia» pelle e organi.

L'attenzione dei medici e dei ricercatori è anche concentrata su una nuova moda dilagata tra i giovani: quella di non assumere più soltanto sostanze stupefacenti ma di sballarsi con gli antidolorifici. Sono stati circa sessantamila gli studenti ad averli utilizzati almeno una volta nella vita: più ragazzi che ragazze. Dai dossier dell'istituto di fisiologia clinica del Cnr emerge un consumo smodato di sostanze psicoattive considerate legali, come l'alcol, il tabacco e gli energy drink. Quasi nove studenti su dieci hanno assunto bevande alcoliche almeno una volta nella vita.

Da rilevare anche un nesso sempre più diffuso tra il consumo di pasticche e disturbi della personalità o psichiatrici che restano per tutta la vita. Le dimissioni ospedaliere dai dipartimenti di salute mentale con diagnosi di disturbi mentali associati a disturbi da uso di sostanze hanno avuto un incremento di oltre il 2 per cento in questi ultimi quattro anni, con numeri assoluti molto alti (circa 40 mila) e soprattutto con un aumento dei tassi di incidenza nella fascia di età più giovane, 15-24 anni, che è arrivato allo stesso livello degli adulti di 25-44 anni. L'allarme è anche maggiore per i ricoveri di urgenza, con diagnosi principale o secondaria relative a uso di droghe ed è sempre nella fascia d'età 15-24 anni che si registra la crescita più veloce dei consumi.

La «scossa» al cervello che libera dalla cocaina

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Maria Sorbi

Niente bombardamenti di farmaci e nemmeno sedute di gruppo nelle comunità o lunghe terapie dallo psicanalista. Per uscire dal tunnel della cocaina basta una mini «scossa». Si tratta di una stimolazione con impulsi magnetici che di fatto liberano il cervello dal desiderio di droga e riattivano molti contatti sinaptici che la cocaina aveva messo fuori uso.

A rivoluzionare i criteri della disintossicazione è il metodo collaudato dallo psichiatra e tossicologo Luigi Gallimberti, partito dagli studi effettuati sui ratti del neurologo Antonello Bonci. Oggi la dipendenza da cocaina viene trattata prima come malattia cerebrale e secondariamente, ma solo se necessario, come disturbo mentale.

Per ora si tratta ancora di una sperimentazione, anche se in fase molto avanzata, ma i risultati ottenuti hanno destato l'interesse di molti istituti di ricerca che fanno capo all'Istituto superiore di sanità e alla Food and drug administration americana. «Al momento - spiega Gallimberti - abbiamo trattato oltre 500 pazienti con risultati incoraggianti. In uno studio in corso di pubblicazione effettuato su 226 pazienti, osservati per un periodo di due anni, abbiamo verificato che circa un quinto hanno smesso di assumere la sostanza dal primo giorno di trattamento e non sono più ricaduti nella dipendenza. Gli altri, nell'arco di due anni, a parte un piccolo gruppo, hanno ridotto l'uso in maniera significativa passando ad esempio da un'assunzione alla settimana a una ogni due mesi.

COME FUNZIONA

Il paziente viene sottoposto a due sedute al giorno per cinque giorni consecutivi e a due sedute giornaliere un giorno alla settimana per altre dieci settimane. Durante gli ultimi tre mesi di trattamento le sedute vengono ridotte gradualmente. Di fatto al paziente viene appoggiata sul lato sinistro della testa una sonda che emette impulsi magnetici di una determinata frequenza, concentrati su un'area della dimensione di una moneta da due euro. «Il funzionamento del cervello di una persona dipendente da cocaina - spiega Gallimberti - si riduce anche dell'80%, interessando soprattutto la corteccia posta dietro la fronte. Poiché in tale zona del cervello hanno sede la coscienza, la capacità di prendere decisioni e la forza di volontà, tali funzioni risulteranno fortemente compromesse con conseguenze anche gravi. La stimolazione magnetica, oltre ad allontanare il desiderio di cocaina, riporta il cervello al suo funzionamento precedente, prima della dipendenza».

Il metodo è partito dalle ricerche del neurologo Antonello Bonci che nel 2013 negli Stati Uniti è riuscito a interrompere la ricerca compulsiva di cocaina nei ratti resi dipendenti dalla sostanza, attraverso la riattivazione delle aree cerebrali danneggiate dall'uso continuato di cocaina, cioè quelle pre frontali.

La metodologia impiegata negli studi sugli animali per ottenere questo risultato si chiama optogenetica, ed essendo invasiva non era replicabile nell'essere umano. L'èquipe del professor Gallimberti ha messo a punto un metodo per ottenere gli stessi risultati anche nell'essere umano, utilizzando una tecnologia sicura e non invasiva di stimolazione delle aree cerebrali, la rTms (stimolazione magnetica transcranica ripetitiva). In sostanza si agisce sulla memoria del piacere ipertrofica che, nell'uomo come nel topo, non cede né a trattamenti psicoterapici né a farmaci. La stimolazione magnetica aiuta ad allontanare il ricordo del piacere legato all'assunzione di stupefacenti e al tempo stesso riaccende la capacità di prendere decisioni e controllare gli impulsi.

I PAZIENTI

Il metodo di stimolazione magnetica viene effettuato in due centri, a Milano e a Padova, e sembra dare buoni risultati anche per combattere altre dipendenze, come ad esempio la ludopatia e l'alcolismo. I pazienti che si sono sottoposti al trattamento che disintossica hanno un'età che varia dai 18 ai 70 anni. Solo il 16% dei 226 pazienti del campione studiato ha presentato lievi e transitori effetti collaterali, rapidamente regrediti. I pazienti affetti da epilessia non possono essere sottoposti al trattamento, pena il rischio della comparsa di crisi epilettogene. Il ricovero in ospedale non è quasi mai necessario, se non per i pazienti che già hanno un quadro clinico molto compromesso, problemi di epatite o pancreatiti.

L'uso di farmaci è ridotto a tre mesi e si limita ai principi attivi che inibiscono la spinta a bere poiché l'alcol rende meno efficace l'effetto della scossa. Tuttavia se un paziente sta già facendo uso di antidepressivi, può continuare la sua cura senza problemi. In una minoranza di pazienti, la sospensione dell'uso della cocaina fa affiorare problematiche psicologiche che erano presenti già in precedenza e che richiedono un aiuto psicoterapeutico specifico.

Per cui dopo una prima disintossicazione «tecnica» del cervello, potrebbe essere necessario proseguire con una psicoterapia per affrontare le fragilità che hanno portato all'uso di droga. La platea di potenziali pazienti è molto ampia: si calcola che al mondo esistano oltre 22 milioni di consumatori abituali di cocaina. Che, assieme a tutte le altre droghe di abuso, provoca più morti rispetto a quelli causati dal cancro. Dati allarmanti, che vengono resi ancora più gravi se si considera l'età, sempre più precoce, dei ragazzi che finiscono nella trappola della dipendenza.

Messo a punto il primo orgasmometro femminile: "Misuriamo il piacere delle donne"

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Alcuni ricercatori hanno iniziato a studiare il piacere femminile che è molto diverso da quello maschile

Sotto anonimato le donne parlano di come vivono la loro sessualità che nella maggior parte dei casi è slegata da un rapporto sentimentale.

L'autoerotismo è più frequente di una volta a settimana in due donne su tre. Quindi più della metà delle donne ama procurarsi del piacere da sola. Ma esiste un modo per misurare l'intensità del piacere femminile? Se lo sono chiesto un gruppo di colleghi delle università di Roma La Sapienza, L'Aquila e Firenze. Ed ecco a quale conclusione sono arrivati.

"Abbiamo quindi messo a punto il primo orgasmometro femminile: un test da fare sul web, quindi anonimo, in cui le donne erano libere di dire quel che non pubblicherebbero mai su Facebook". La struttura del test, paradossalmente, è mutuata dai questionari usati per misurare l'intensità del dolore. "Dolore e piacere hanno in comune il fatto di essere esperienze soggettive e interiori. Non esiste un termometro per misurarle" spiega Emmanuele Jannini che insegna endocrinologia e sessuologia medica all'università di Roma Tor Vergata.

Oggi i risultati iniziali del primo metodo "per misurare la percezione dell'intensità soggettiva dell'orgasmo nelle donne" sono pubblicati dall'importante rivista Plos One. Si tratta pur sempre di un metodo soggettivo: risonanza magnetica, doppler e altri strumenti diagnostici cominciano ad affacciarsi in sessuologia, ma con un uso ancora circoscritto. "Quel che osserviamo è solo la punta dell'iceberg di un mondo molto complesso" racconta Jannini. L'orgasmometro maschile, che esiste da tempo, ci dice per esempio che l'orgasmo, quando viene raggiunto, è sempre intenso. In genere solo l'eiaculazione precoce può causare un piacere dimezzato. Nelle donne invece i risultati dell'orgasmometro sono assai più variegati". Alla prima tappa della ricerca hanno partecipato 526 donne, ma altri questionari saranno messi a punto in futuro.

"La maggior parte del campione aveva fra i 19 e i 35 anni. Confrontando i due estremi, l'intensità degli orgasmi aumentava con l'età" conferma Jannini. Anche se 8 donne su 10 si trovavano una relazione stabile, il loro piacere non era superiore rispetto alle single. Il 62,8% di loro si masturbava più di una volta alla settimana. Tanto più frequente era l'autoerotismo, tanto più alti i valori dell'intensità dell'orgasmo. E questo aspetto ha colpito non poco i ricercatori: "Sappiamo che il perdere il controllo, il mollare le redini, sono requisiti essenziali per il piacere femminile. Allo stesso tempo però è importante conoscersi, direi quasi allenarsi in senso fisico e mentale all'orgasmo. E questo può passare attraverso la masturbazione". Il meccanismo sessuale delle donne è più fragile di quello degli uomini, spiega infatti Jannini: "Costruirsi le esperienze, riconoscere i segnali del proprio corpo, seguirli e abbandonarvisi, capendo quando è il momento di perdere il controllo sono gli ingredienti che permettono di avere un orgasmo intenso. L'uomo lo raggiunge quasi in ogni condizione, per le donne invece è meno scontato".

Viso e corpo. Alimenti per rallentare l’invecchiamento

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Cerchiamo di aiutare il difficile lavoro di creme e trattamenti estetici, assumendo i cibi giusti per il nostro corpo

Viso e corpo richiedono l’assunzione di alimenti appropriati per contrastare i segni dell’età che avanza. Se proprio non vogliamo abbandonare creme e trattamenti estetici mirati, cerchiamo almeno di dare un occhio di riguardo alla nostra alimentazione.

Preferendo alcuni cibi, aiuteremo il nostro corpo a mantenere un aspetto sano e, perché no, a rallentare il passare del tempo. Il cervello ha bisogno di restare giovane e attivo, nutriamolo con una bella tazza di mirtilli a colazione. E’ la stagione perfetta per comprare i frutti viola, che oltre a essere buoni, proteggono i neuroni dall’accumulo di proteine.

Sembra vero il vecchio detto “una mela al giorno leva il medico di torno”, questo frutto apporta al nostro corpo il 17% di fibre di cui ha bisogno giornalmente. E’ inoltre una fonte importante di quercetina, il flavonoide antiossidante che contrasta l’invecchiamento cutaneo precoce.

Pensiamo anche a proteggere la nostra flora intestinale assumendo dello yogurt bianco, aiuteremo in questo modo il nostro intestino e, allo stesso tempo, assumeremo la giusta dose di calcio necessaria.

Il tè verde, è dissetante e piacevole, se assunto in elevate quantità, aiuta a contrastare l’accumulo di colesterolo nelle arterie, grazie ai polifenoli che contiene. Il nostro viso apparirà anche più giovane e rilassato perché, questa prodigiosa bevanda, aumenta l’elasticità della pelle.

Il cioccolato fondenteè un vero toccasana, in quanto stimola la produzione di serotonina, l’ormone della felicità. Grazie a lui ci sentiremo più contenti e positivi.

Il salmoneè una preziosa fonte di omega 3, gli acidi grassi considerati amici del cuore, perché proteggono dal rischio di infarto. Inoltre abbassano i livelli di pressione sanguigna e hanno un benefico effetto anti infiammatorio.

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